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"Uno di duecentocinquantamila", la nuova rubrica di Giuseppe Caravita

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Iniziamo questa avventura. Parleremo della nostra vita di avvocati, di quello che succede nei tribunali, del concetto che l'opinione pubblica ha degli avvocati.

Cominciamo dall'inizio: in Italia ci sono troppi avvocati. Io questa frase la sento da sempre, unitamente alla affermazione: "Ma ti rendi conto che solo a Roma ci sono tanti avvocati quanti ce ne sono in Francia?"

Tenuto conto che ho 62 anni, e che sono figlio e nipote di avvocati, io questa doppia affermazione la sento da 62 anni: e trovo stupefacente che nessuno abbia trovato la soluzione al problema.
Problema, si, perché "troppi" ha una accezione chiaramente negativa. Ed è il coperchio di una scatola che contiene tutto l'incapacità di comprendere quale sia il ruolo fondamentale dell'avvocato.
Gli avvocati sono "azzeccagarbugli", "avvocaticchi", "avvocati delle cause perse". Parlano latinorum, e guadagnano palate di soldi con i rinvii delle cause.
Gli avvocati sono anche "cani", perché perdono "le cause vinte in partenza", misteriosa categoria in cui non ho mai avuto la fortuna di imbattermi.
Ecco: gli avvocati sono tutto questo, ma nessuno ha mai trovato la soluzione al problema.
Al falso problema, dico io.
250.000 avvocati sono una enormità, si dice, perché il rapporto è di 1 avvocato ogni 300 persone circa.
Io affermo, invece, che il rapporto non va misurato con la popolazione, ma con la massa critica di contenzioso potenziale. E mi spiego meglio.


Nel dopo guerra gli avvocati italiani erano 30.000: già il Corriere della Sera ebbe a titolare "Troppi avvocati". Bene, a parte questa curiosità, vi invito a ragionare sulla Italia dell'immediato dopo guerra.
Mancava la Costituzione, e la sua applicazione rigorosa.
Non c'era la legge sulla responsabilità civile da circolazione automobilistica, dalla quale è scaturito un contenzioso enorme.
Non c'era la legge sull'equo canone, che pure ha dato vita a battaglie immense e numerose.
Non c'era la legge 300/70, sul lavoro: e tutto il contenzioso che ne è venuto fuori.
Non c'era la legge sul divorzio.
La proprietà privata era inesistente. E inesistenti pertanto erano i problemi di condominio, di rapporti di vicinato, di costruzioni, di mutui, di ristrutturazioni, di danni condominiali, di danni da proprietà a proprietà.
E qui parliamo solo di diritto civile.
Se parliamo di diritto amministrativo, fino al 1971 il diritto amministrativo si affrontava solo con il ricorso gerarchico al Presidente della Repubblica. Poi l'istituzione dei Tribunali Amministrativi Regionali ha portato alla esplosione del contenzioso amministrativo.
Un altro esempio è dato dalla cura della persona e dal prolungamento della aspettativa di vita, cui sono connessi tuttavia problemi di amministrazione di sostegno.
Questo settore ha visto un incremento percentuale incredibile.
Ora, senza voler continuare un elenco che potrebbe andare avanti per pagine, a me basta osservare che il rapporto deve essere impostato tra avvocato e centro di interesse.

Ovverosia ogni persona costituisce un centro di interesse, cui fanno capo svariate problematiche: rapporti personali, economici, lavorativi, di eredità, di proprietà, di comproprietà da dividere, di separazione personale e poi di divorzio, di contenzioso economico con le banche, di possibili danni da risarcire, di accuse penali da cui difendersi.
Ogni centro di interesse, dunque, rappresenta una molteplicità di possibile contenzioso o problematica da affrontare: ed ecco che se si applica questo criterio, il rapporto avvocato/centro di interesse appare – a mio avviso. assolutamente accettabile.
Allora dove sta il problema?
Il problema sta nella pessima organizzazione della Giustizia italiana, nella mancanza di ossatura della Avvocatura, che semplicemente non esiste, esistendo solo (grazie a Dio) l'Avvocato, che risponde solo a sé stesso, oltre che alle regole portate essenzialmente dal Codice Deontologico e dalla legge 247/12 (legge arrivata dopo ottanta anni, e piena di veri e propri obbrobri).
Il problema sta nella assurda opinione che ha l'opinione pubblica degli Avvocati, dei quali non vuole riconoscere l'altissima funzione di assistenza del cittadino.
Il problema sta nella incapacità di fare capire che il lavoro dell'Avvocato si basa sul mandato oneroso, cioè sull'incarico conferito caso per caso e che deve essere retribuito.
Il problema sta nella struttura stessa della Avvocatura, dove esiste chi si accaparra clientela con metodi discutibili, ed esiste chi non è stato educato a tenere la schiena dritta anche nei momenti di difficoltà: il che vuol dire poter disporre, per la prima categoria, di una massa di manovra inconsapevole delle proprie possibilità.
Rimedi: revisione degli albi, rappresentanti autorevoli, da un lato. Informazione, preparazione, partecipazione dall'altro. Senza avere paura di esprimere la propria opinione. Ricerca di un bravo dominus da un lato, disponibilità ad insegnare la professione dall'altro.
Osmosi tra classi vecchie e giovani. Noi vecchi siamo le finestre sul passato, i giovani sono le finestre sul futuro. Noi siamo tutti, in realtà, QUI ed ORA.
Ed è da QUI ed ORA che dobbiamo muoverci.
Queste breve considerazioni servono solo ad inquadrare il campo del mio intervento. Non parlerò di diritto in senso stretto, non citerò sentenze. Parlerò di noi avvocati, un po' a ruota libera, e se vorremo collaborare, cari lettori, svilupperò gli argomenti che vorrete suggerirmi.
Giuseppe Caravita di Toritto,
uno di duecentocinquantamila

 

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