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L'imputabilità è una delle categorie giuridiche principali del diritto penale. Esprime il principio generale secondo cui "Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità d'intendere e di volere" (art. 85 codice penale). Al secondo comma poi precisa che è imputabile chi ha la capacità di intendere e volere. Non tutti gli autori di un reato ne subiscono, quindi, le conseguenze giuridiche.
Le persone immuni non sono assoggettate a conseguenze penali, quelle socialmente non pericolose non possono essere sottoposte a misure di sicurezza, quelle incapaci di intendere e di volere (non imputabili) non possono essere condannate alla pena prevista per il reato da esse commesso. La responsabilità penale è collegata ad un normale stato di maturità, sanità ed equilibrio dell'individuo.L'imputabilità consiste nella capacità di intendere e di volere.
Si tratta di una norma di garanzia. L'imputabilità è il principale presupposto della punibilità. Presupposto per la punibilità dell'autore di un reato è la sussistenza della capacità di intendere e di volere al momento della commissione del fatto.
Per «capacità di intendere e volere» si intende sia la capacità di ogni persona di rendersi conto del valore sociale del proprio comportamento e di valutarne le ripercussioni sugli altri. Comunemente, sia la capacità di intendere che quella di volere si raggiungono con una completa maturità psico-fisica e si mantengono con l'equilibrio e la sanità mentale.
La pena è un castigo per una disobbedienza e si richiede che chi la subisce l'avverte e la sente come il giusto corrispettivo per un comportamento riprovevole. Il requisito della imputabilità è condizione per l'irrogazione della pena. Ciò significa che la mancanza di imputabilità costituisce una causa personale di esenzione della pena.
La imputabilità è legata tanto al raggiungimento di un sufficiente grado di sviluppo dell'individuo quanto al permanere di un suo equilibrio psico-fisico. Infatti, anche dopo la raggiunta maturità, varie situazioni estreme possono influire su questo equilibrio eliminando del tutto o facendo diminuire sia la capacità di intendere, sia la capacità di volere, sia l'una e l'altra insieme.
L'Ordinamento giuridico prevede alcune ipotesi che escludono la imputabilità. Non si tratta di un numero chiuso di cause nel senso che tale capacità potrebbe essere esclusa anche in presenza di cause non espressamente previste dal Codice. Quelle previste dal nostro Ordinamento sono: la minore età; il vizio di mente; l'intossicazione da alcool o sostanze stupefacenti. Per ognuna di esse il Codice detta una specifica disciplina.
In ambito penale, infatti, l'imputabilità è presunta per i soggetti maggiori di età (per i quali può naturalmente venir meno per un "vizio di mente") ma è esclusa del tutto per i minori di età inferiore ai 14 anni (art. 97 c.p.) e deve essere, invece, obbligatoriamente accertata in concreto per i minori che hanno superato i 14 anni (art. 98 c.p.). Può dirsi, al riguardo, che le norme sulla imputabilità non si applicano quando la privazione della capacità di intendere e di volere è stata preordinata e cioè quando l'autore del reato si è messo in stato di incapacità proprio al fine di commettere il reato o di prepararsi una scusa.
In ambito civile, viceversa, non esistono presunzioni di incapacità come in ambito penale. Ed inoltre il codice civile, in caso di danni cagionati da minori di età, si presenta in dissonanza rispetto al principio penalistico della responsabilità personale del solo autore del fatto. Infatti il risarcimento per fatti commessi da soggetti incapaci di intendere e di volere non è dovuto dall'incapace (che non può nemmeno essere convenuto in un giudizio di danno) ma da chi è tenuto alla sua sorveglianza (culpa in vigilando) (art. 2047 c.c.), mentre del danno cagionato dai soggetti che sebbene minori di età sono però capaci di intendere e di volere, rispondono iure proprio – cioè in modo diretto (Cass. civ. Sez. III, 19 ottobre 2007, n. 21972; Cass. civ. Sez. III, 16 giugno 2005, n. 12965) e non indiretto - i genitori o chi esercita le funzioni di rappresentanza legale, come il tutore o l'affidatario (culpa in educando) (art. 2048 c.c.). Il sorvegliante e il rappresentate legale possono, però – secondo quanto prevedono le norme sopra citate - sempre provare di non aver potuto impedire il fatto.
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Sono un’appassionata di diritto delle nuove tecnologie e lo faccio da Avvocatessa e giornalista, studiando, applicando e raccontando le regole e le politiche dell’innovazione in ambito nazionale ed europeo.