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Incidente stradale, non è responsabile il pedone investito mentre aiuta le forze dell'ordine

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In caso di incidente stradale, l'utente/pedone che viene investito da un pirata della strada e che, pur non essendo coinvolto nel sinistro principale in cui sono interessati altri soggetti, si trova sul luogo per aiutare, su ordine del datore di lavoro, il collega coinvolto e le forze dell'ordine nelle operazioni di sgombero, non è corresponsabile dell'evento dannoso occorso successivamente. E ciò soprattutto ove egli abbia utilizzato tutte le normali precauzioni per essere visibile.

Questo è quanto ha statuito la Corte di cassazione con sentenza n. 17418 del 28 giugno 2019.

Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici di legittimità.

I fatti di causa.

Il ricorrente ha agito in giudizio nei confronti della compagnia designata dal Fondo Garanzia Vittime della Strada, al fine di ottenere il risarcimento dei gravi danni subiti a seguito del sinistro stradale occorso mentre stava coadiuvando un Vigile del Fuoco nella regolamentazione del traffico. In buona sostanza, il ricorrente, per ordine della ditta di cui è dipendente, si è recato su luogo dell'incidente nel quale è stato coinvolto un pullman di linea, guidato da un suo collega e di proprietà della predetta ditta. Il ricorrente ha raggiunto il collega per aiutarlo e, con le forze dell'ordine, si è prodigato anche nelle operazioni di sgombero del traffico. È accaduto che un'autovettura, rimasta non identificata, è sopraggiunta a forte velocità, superando le macchine incolonnate e investendo il ricorrente, nonostante quest'ultimo indossasse il giubbotto fosforescente e stesse utilizzando una pila per rendere visibile se stesso e la strada. A seguito di tale evento, il ricorrente ha riportato gravi danni e per questo ha agito in giudizio. I Giudici di merito hanno affermato la responsabilità dell'investito concorrente con quella dell'investitore nella misura del 50%.

Così il caso è giunto dinanzi alla Corte di cassazione. 

La decisione della SC.

I Giudici di legittimità, innanzitutto, nell'esaminare la decisione impugnata, fanno rilevare che la Corte d'appello si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado. In buona sostanza, essa ha evidenziato il comportamento colposo del ricorrente perché quest'ultimo, senza averne i poteri e in evidente spregio delle norme comportamentali che i pedoni devono rispettare ex art. 190 Codice della strada, si sarebbe messo a regolare il traffico veicolare, in una zona completamente buia, per di più nascosto da una semicurva alla visuale dei conducenti. Nell'evidenziare questo, richiama la sentenza di primo grado, senza addurre alcuna argomentazione che giustifichi i) la determinazione del concorso di colpa del ricorrente nella misura del 50% in relazione alla condotta da lui tenuta, ii) la valutazione di tale condotta solo alla luce dell'art. 190 innazi citato.

Orbene, da tanto, secondo la Corte di cassazione, può evincersi il vizio della sentenza di secondo grado. A parere dei Giudici di legittimità, anche se è possibile che una sentenza d'appello possa essere motivata per relationem, ossia richiamando quella di primo grado, non può aderire a tale pronuncia in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Cass. 28139/2018; Cass. 27112/2018;Cass. 16057/2018; Cass. 22232/2016).

E infatti, a dire della Suprema Corte, i Giudici di merito non hanno proprio tenuto conto del nodo della controversia, ossia non hanno considerato la comparazione delle condotte dei soggetti coinvolti, pedone e conducente investitore. In questi casi, se, da un lato, è vero che vige il principio secondo cui in materia di responsabilità civile derivante da sinistri stradali, stante la presunzione del 100% di colpa in capo al conducente del veicolo, il comportamento incauto del pedone può ridurre tale percentuale di colpa ( Cass. 2241/2019, ma in termini anche Cass. 5399/2013; Cass. 24472/2014);

dall'altro, non bisogna dimenticare un altro principio a questo sovrapponibile, secondo cui «la presenza di un veicolo fermo per incidente sulla sede stradale impone ai conducenti dei veicoli sopraggiungenti di moderare la velocità e di tenere un comportamento improntato alla massima prudenza, non potendo reputarsi circostanza assolutamente imprevedibile, ed al contrario rientrando nella ragionevole prevedibilità, la presenza degli occupanti della vettura incidentata sulla sede stradale in prossimità della vettura stessa» (cfr. Cass. 2173/2016). Orbene, a parere dei Giudici di legittimità, proprio tali principi e la comparazione delle condotte poste in essere dai soggetti, coinvolti nel sinistro occorso nel caso di specie, avrebbero dovuto indurre la Corte d'appello a riesaminare la dinamica dell'incidente e a ricostruire le responsabilità ascrivibili a ciascuna parte. Un riesame e una ricostruzione che avrebbero portato a escludere un concorso di colpa del ricorrente dal momento che:

  • l'auto che ha investito il ricorrente percorreva a forte velocità, nonostante le auto incolonnate;
  • è stata sottovalutata la condotta solidaristica del ricorrente, rispondente al dettato normativo di cui all'art. 189 comma 3, codice della strada, secondo cui «ove dall'incidente siano derivati danni alle sole cose, i conducenti e ogni altro utente della strada coinvolto devono inoltre, ove possibile, evitare intralcio alla circolazione»;
  • il danneggiato, estraneo al sinistro, ha risposto a una richiesta del datore di lavoro e si è prodigato con le forze dell'ordine per velocizzare le operazioni di sgombero della carreggiata, utilizzando anche le normali precauzioni per essere visibile.

Tali circostanze non sono state prese in considerazione. Pertanto, secondo la Corte di cassazione il ricorso merita accoglimento e la decisione impugnata va cassata con rinvio della causa alla Corte d'appello, in diversa composizione. 

 

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