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Lite tra ex coniugi e legittima difesa

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Con la recentissima sentenza in commento, la n. 28336 depositata il 28 giugno 2019, la quinta sezione della Corte di Cassazione è intervenuta in tema di legittima difesa.

In particolare la difesa dell'imputato condannato in primo e secondo grado per lesioni nei confronti della ex moglie, riteneva che i tribunali di merito avessero erroneamente applicato i principi riguardanti la scriminante della legittima difesa, avendola esclusa nel caso di specie, quando invece - rilevava la difesa - come l'indagato avesse colpito la ex moglie al solo fine di difendersi da un'aggressione.

Sul punto ricorda la Corte come la legittima difesa trovi applicazione solo "qualora l'autore del fatto versi in una situazione di pericolo attuale per la propria incolumità fisica, tale da rendere necessitata e priva di alternative la sua reazione all'offesa mediante aggressione (Sez. 1, n. 51262 del 13/06/2017, Calì, Rv. 272080), mentre non è configurabile allorchè, come nella fattispecie concreta, il soggetto non agisce nella convinzione, sia pure erronea, di dover reagire a solo scopo difensivo, ma per risentimento o ritorsione contro chi ritenga essere portatore di una qualsiasi offesa (Sez. 1, n. 52617 del 14/11/2017, Pileggi, Rv. 271605)".

Nel caso di specie, invece, nella ricostruzione fornita dai giudizi di merito, anche se l'imputato fosse stato colpito dalla ex moglie alle spalle, aveva altre alternative rispetto al colpirla a sua volta per difendersi, poiché ben poteva nell'ambito di una banale lite tra ex coniugi, limitarsi a neutralizzare, se necessario, l'offesa, e ad allontanarsi.

Ne consegue che, secondo "i giudici della motivazione" i giudici di merito hanno correttamente applicato i principi di diritto che reggono la legittima difesa. 

Inoltre, sempre nell'ambito della medesima decisione è interessante sottolineare come preliminarmente alla decisione sul merito, i giudici della Corte di Cassazione si siano soffermati sulla estensione del loro sindacato.

In pratica, hanno ribadito come "il controllo di legittimità […] concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione" che dunque i giudici della Corte di Cassazione si caratterizzano per essere giudici della motivazione e non giudici della decisione, i quali necessariamente si fondano dunque sulla ricostruzione di fatto offerta nei primi gradi di giudizio.

Sulla base di tutte queste considerazioni, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna l'imputato al pagamento delle spese del procedimento, liquidando anche una somma in favore della Cassa delle Ammende. 

 

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