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Dopo le clamorose, e a nostro parere assai gravi, espressioni pronunciate da Piercamillo Davigo, Alberto Pezzini ha chiamato il giudice Gherardo Colombo, che con Davigo ha condiviso gli anni di "Mani Pulite" nel Pool milanese, e che ha accettato di buon grado di rilasciare alcune dichiarazioni al nostro portale, non sottraendosi alle domande e fornendo la "sua" opinione. Laica e dialogante, come nello stile del magistrato, ma di tutt'altra pasta. Eccola.
Le affermazioni pronunciate da Pier Camillo Davigo alla trasmissione Piazza Pulita, la scorsa setimana, fanno venire i capelli dritti (almeno per chi li possiede). Sulla prescrizione lo stesso dice: "Il processo dappertutto è il processo di primo grado, le impugnazioni sono l'eccezione. Se uno appella e il processo dura troppo, cosa ha da lamentarsi? Poteva non fare appello. La maggior parte degli appelli non sono fondati, sono dilatori".
Allora.
Prima di tutto va detto che abbiamo preso il telefono e chiamato Gherardo Colombo, oggi Presidente del Gruppo Gems, il quale ormai si dedica alla scrittura e all'editoria ma che con Davigo – nel 1992 – ha diviso le stanze del Pool Mani Pulite.
"Io non condivido – ci ha dichiarato – la sostanziale abolizione della prescrizione. Credo che il processo debba durare tempi ragionevoli e credo che sia ingiusto che una condanna possa arrivare dopo anni, magari decenni, dalla commissione del reato. Le persone cambiano. Un ragazzo che viene fermato a 18 anni per pochi grammi di sostanza stupefacente, è possibile sia cambiato e maturato quando avrà 30 anni. Non mi sembra una soluzione costituzionalmente orientata. Piercamillo Davigo ha parlato del processo di primo grado come regola e delle impugnazioni come eccezione perché in tanti altri paesi succede così: la soluzione però non è quella di abolire un grado di giudizio (cosa che credo non auspichi nemmeno Piercamillo) ma quella di fare in modo che anche da noi l'impugnazione non sia un secondo giudizio anche quando non c'è nulla di cui lagnarsi".
Si tratta di due facce della luna.
Ma non è questo il punto.
Noi siamo con Colombo ma siamo anche avvocati, con un'idea molto precisa e – quantomeno – giuridicamente ortodossa, corretta e adesa a un codice che dovrebbe essere uguale per tutti.
Con noi c'è anche il Corriere della Sera che quest'oggi – con due articolesse dense scritte da Milena Gabanelli e Luigi Ferrarella – ha illustrato cosa sia dall'interno il problema prescrizione.
"Una ricera Eurispes del 2010 ha mostrato come, su 100 rinvii, i legittimi impedimenti per avvocato e imputato contassero per il 2,3 % e l'1,2%...Il resto andava sul conto della macchina giudiziaria, tra cui l'11,2% per assenza o omessa citazione dei testi del pm, e il 5,7% per assenza del giudice. Non si può dire che sia sempre colpa dei "cavilli" di avvocati azzeccagarbugli (copyright Ministro Buonafede)".
Secondo.
Dire che il processo di primo grado è la regola e l'impugnazione un'eccezione è una stortura almeno in Italia in cui esistono tre gradi di giudizio.
Se l'appello a Davigo non piace perchè secondo lui è uno strumento dilatorio, ne prendiamo atto ma la sua affermazione è una boutade e noi la prendiamo per quello che è: una battuta.
Al riguardo ci sentiamo di rispondere non soltanto che – fino a prova contraria – il nostro sistema processuale – con buona fede per certe espressioni de jure condendo più tipiche di Robespierre che di un magistrato – è imperniato su tre gradi di giudizio. Quelli ci sono e quelli ci teniamo.
Ma anche come al limite sarebbe forse più utile restringere i filtri dell'appello forse in relazione ai reati minori ma mi sento di dire che non andrebbe bene lo stesso.
Un avvocato tiene molto all'appello – qualunque sia il reato che lo riguardi - perchè se molti sono gli appelli infondati, altrettante sono le sentenze assurde, inique e addirittura sbagliate.
Meglio cento appelli dilatori se questo è il prezzo per difendersi anche da una sola sentenza dissennata.
Terzo.
Sconcerto e anche una notevole dose di indignazione mi suscita la frase pronunciata da Davigo per cui nessuno può dolersi della durata abnorme di un processo se interponga appello.
Cos'ha da lamentarsi ? Poteva non farlo.
L'atto di appello è un diritto e noi parliamo di diritti – nel processo penale – così come lo è la prescrizione.
La sua è chiaramente una semplificazione, una fictio iuris, dal contenuto sottile, ma gracile sotto l'aspetto giuridico.
Chi si duole della eccessiva durata dei processi e come possibile fomite o concausa ne individua gli atti d'appello significa che non ha capito nulla del processo penale.
Basti soltanto dire che i dati al riguardo sono impietosi nel dimostrare come le impugnazioni abbiano una influenza minima sulla durata del processo: secondo il Corriere della Sera su 130.000 processi che vanno in prescrizione in un anno la causa estintiva del reato si consuma – per il 62 % - durante la fase delle indagini preliminari.
Il residuo 37% nel corso dei tre – complessivi – gradi di giudizio.
Dobbiamo ancora dire qualcosa?
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