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Il possesso continuato di aree condominiali per venti anni è titolo per l’usucapione delle stesse?

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Riferimenti normativi: Art.1158 c.c.

Focus: Frequente è l'azione di usucapione in ambito condominiale per ottenere l'assegnazione di un bene in proprietà esclusiva. Sulla tematica si è recentemente pronunciata la Corte di Appello di Roma con la sentenza n.5026 dell'11 luglio 2023.

Principi generali: L'usucapione è disciplinata dall'art.1158 c.c. il quale dispone che "la proprietà di beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni". Essa può avere ad oggetto anche alcune parti comuni di cui all'art.1117 c.c., ma chi propone un'azione di usucapione per ottenere l'assegnazione di un bene in proprietà esclusiva deve dimostrare di averne avuto il possesso continuativo ed ininterrotto a fronte dell'inerzia del proprietario nell'esercitare il suo diritto. 

Nel caso di specie, in merito al quale si è pronunciata la Corte di Appello di Roma con la sentenza n.5026 dell'11 luglio 2023, alcuni condòmini in primo grado di giudizio avevano citato il condominio affinché la rampa di accesso ai loro locali all'interno del condominio fosse dichiarata di loro proprietà, in quanto acquistata in via derivativa dall'unico proprietario originario costruttore.


Chiedevano, in subordine, che fosse riconosciuto l'acquisto della stessa per usucapione e, ancora, che fosse dichiarato, comunque, che la rampa non costituiva bene condominiale. Il condominio si era costituito in giudizio chiedendo il rigetto di tale richiesta ed il Tribunale si era pronunciato rigettando la domanda attorea. I condòmini, perciò, hanno impugnato la sentenza di primo grado eccependo, innanzitutto, che i giudici non avevano tenuto conto del fatto che la rampa oggetto della controversia serviva esclusivamente come accesso alle loro proprietà e, quindi, doveva essere esclusa la presunzione di comunione della stessa, ai sensi dell'art.1117 c.c., in quanto non risultante tra le parti comuni né nel regolamento di condominio contrattuale, né nei loro atti di acquisto a titolo particolare. Inoltre, si contestava il fatto che non si era tenuto conto delle risultanze istruttorie da cui emergeva che i condòmini per un periodo d'uso ventennale, valido per l'acquisto per usucapione, erano gli unici ad accedere dalla rampa, come proprietari, per poter entrare nelle loro porzioni immobiliari, vi parcheggiavano le loro auto, caricavano e scaricavano merci nei loro locali, pagavano la tassa comunale relativa al passo carrabile e le spese relative alla pulizia ed alla manutenzione della rampa. La Corte di Appello, con riferimento alla contestata presunzione di comunione della rampa come parte comune dell'edificio, ex art.1117 c.c., ha richiamato l'orientamento prevalente della Corte di Cassazione secondo cui "è necessario che chi rivendica la titolarità di una delle aree indicate nella predetta norma lo dimostri in modo inequivoco". È, perciò, necessario un titolo da cui risulti una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad uno dei condòmini la proprietà di dette parti e di escluderne gli altri. 

La Corte ha osservato, invece, che gli appellanti non avevano fornito prova di un possesso esclusivo tale da escludere quello degli altri condòmini. Infatti, come rilevato dall'esame del Regolamento di Condominio, indicato dalle parti concordemente come contrattuale, non emerge alcuna riserva di proprietà espressa delle rampe di accesso, collocate nelle aree di stallo del condominio, come aree di utilizzo esclusivo di alcuni condòmini, né altrettanto risulta dai titoli d'acquisto esibiti dalle parti. Ha, altresì, evidenziato che la rampa serve certamente l'edificio condominiale, consente l'accesso ad una parte dello stesso ed è potenzialmente utilizzabile da tutti i condòmini quale parcheggio. Anche se gli appellanti hanno da sempre utilizzato la rampa che, per la conformazione dei luoghi, consente di accedere ai locali di loro proprietà esclusiva, l'uso della rampa per il transito ed anche per la sosta delle auto rappresenta un comportamento, se contenuto nei limiti di cui all'art. 1102 c.c., compatibile con il diritto di ciascun condòmino al cd. "uso più intenso" del bene comune. Uso per il quale è consentito che, ai sensi del terzo comma dell'art. 1123 c.c., possano esistere beni comuni ma di uso esclusivo di alcuni condòmini tale da giustificare la deroga al criterio generale di ripartizione delle spese sancito dal primo comma del medesimo articolo. Quindi, anche l'eventuale sopportazione della spesa per la tassa del passo carrabile e la manutenzione e la pulizia da parte dei soli condòmini che traggono utilità dal bene non costituisce prova del possesso del bene per il tempo utile ad usucapire il bene come proprietario anziché come condòmino (1123 c.c.). Pertanto, in assenza di prova da parte degli appellati di una condotta continua e protratta nel ventennio, che possa considerarsi manifestazione della volontà di escludere gli altri condòmini dal godimento del bene, l'appello è stato rigettato. 

 

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