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Grava sul cedente l’obbligo di corrispondere i contributi se la cessione è illegittima.

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In caso di cessione d'azienda dichiarata illegittima, permane l'obbligo contributivo previdenziale del c.d. cedente anche in relazione al periodo per il quale la prestazione lavorativa è stata resa in favore del beneficiario della c.d. cessione, restando irrilevanti sia le vicende relative alla retribuzione dovuta dal cedente, sia l'eventuale pagamento di contributi da parte del cessionario per lo stesso periodo.

Cass., sez. lav., ord. n. 91143/2023

Il codice civile, al quinto comma dell'art. 2112, definisce il trasferimento d'azienda come qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dai provvedimenti sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda.

Il trasferimento, oltre ad avere ad oggetto l'intero compendio aziendale, può riguardare anche solamente una parte di essa. In tal caso, affinché possa configurarsi una fattispecie traslativa, è indispensabile che sia trasferita un'articolazione funzionalmente autonoma, sebbene non identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento: dunque, quando la struttura ceduta non ha una propria autonomia, non è possibile parlare di trasferimento di ramo d'azienda.

Affinché una cessione d'azienda possa essere ritenuto legittima, è indispensabile che siano rispettate alcune disposizioni di legge volte a tutelare i lavoratori.

In primis, qualora il cedente occupi più di quindici dipendenti, sussiste l'obbligo di seguire una specifica procedura sindacale; se poi, per effetto del trasferimento, l'organico computabile dovesse rientrare nella fascia compresa tra i quindici e i trentacinque dipendenti, scatterà altresì l'obbligo, per l'azienda, di procedere all'assunzione di categorie protette.

Il mancato rispetto delle regole che disciplinano il trasferimento d'azienda o di un ramo di essa, invalida l'intero negozio ed il rapporto di lavoro dei dipendenti coinvolti nell'operazione resta nella titolarità dell'originario cedente, che rimane dunque obbligato a corrispondere tutte le retribuzioni, come se l'atto traslativo non fosse mai avvenuto. 

 Nell'ordinanza n. 91143/2023 la Cassazione ha affrontato la problematica relativa all'individuazione del soggetto tenuto al versamento dei contributi previdenziali in conseguenza della declaratoria di illegittimità del trasferimento d'azienda, affermando che la titolarità dell'obbligo contributivo previdenziale rimane in capo al cedente anche in relazione al periodo per il quale la prestazione lavorativa è stata resa in favore del beneficiario della c.d. cessione, restando irrilevanti sia le vicende relative alla retribuzione dovuta dal cedente, sia l'eventuale pagamento di contributi da parte del cessionario per lo stesso periodo.

Il fatto.

L'Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, agiva per il recupero dei contributi dovuti per dieci lavoratori reintegrati presso la cedente all'esito di dichiarazione di illegittimità di una cessione di ramo d'azienda.

Il ricorso, accolto in primo grado, veniva rigettato dalla Corte d'Appello, la quale riteneva che durante la cessione, invalidata solo dopo un certo periodo di tempo, il cedente, non avendo avuto la titolarità del rapporto di lavoro con i dipendenti ceduti, non avesse, nei confronti dei medesimi, né obblighi contributivi né obblighi retributivi.

La decisione della cassazione.

Secondo il giudice delle leggi, il rapporto previdenziale e il rapporto lavorativo sono completamente autonomi tra di loro, come confermato dal fatto che l'obbligo contributivo del datore di lavoro perdura a prescindere dalle vicende concrete dell'obbligazione retributiva e che l'inadempimento retributivo del datore di lavoro non elimina l'obbligo di corrispondere i contributi previdenziali.

Per gli Ermellini, dunque, l'obbligazione previdenziale ha carattere immanente e prescinde sia dal comportamento delle parti del rapporto di lavoro che dall'effettiva prestazione lavorativa, ragion per cui, in caso di reintegrazione dei lavoratori presso la cedente, quest'ultima è obbligata a corrispondere i contributi previdenziali anche per il periodo antecedente la reintegrazione stessa e indipendentemente dal fatto che l'obbligazione contributiva sdia stata adempiuta dal precedente cessionario.

Infatti, precisa la corte, una volta invalidata la cessione, il pagamento dell'obbligazione contributiva non proviene più dal datore di lavoro formalmente titolare del rapporto di lavoro ma da un terso a ciò non autorizzato. Infatti, se in linea generale è vero che qualsiasi terzo può intervenire nel rapporto obbligatorio altrui, tacitando le pretese creditorie, non è altrettanto vero che possa sempre e ciò, in ragione della presenza, come nel caso concreto, di interessi giuridicamente apprezzabili del creditore che possono paralizzare l'intervento del soggetto estraneo, negandogli la facoltà di intromissione nel rapporto giuridico intercorrente tra i soggetti originari.

Così nei regimi previdenziali, di qualunque tipo essi siano, l'obbligo di versare i contributi previdenziali ha natura inderogabile ed è quindi indisponibile, e ciò in ragione della vigenza dell'art. 2115, comma 3, c.c. che dispone la nullità di qualsiasi patto diretto ad eludere l'obbligazione contributiva. Non opera dunque in materia, l'art. 1180 c.c. ove il creditore ha un interesse giuridicamente apprezzabile a che sia il debitore ad adempiere personalmente alla prestazione dedotta in obbligazione, come avviene nel caso di specie proprio in ragione della disciplina pubblicistica alla base degli obblighi contributivi previdenziali del datore di lavoro, ove le connotazioni di colui che adempie nonrisultano indifferenti per l'ente previdenziale creditore.

 

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