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Gli avvocati sono stati effettivamente abbandonati in questa emergenza sanitaria?

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L'art. 27 del Decreto "Cura Italia" ha riconosciuto un'indennità per il mese di marzo pari a 600,00 euro ai liberi professionisti titolari di partita Iva attiva alla data del 23 febbraio 2020 e ai lavoratori titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa attivi alla medesima data, iscritti alla Gestione separata, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie.

Da tale forma assistenziale restano esclusi gli avvocati.

Ma questi professionisti possono effettivamente considerarsi dimenticati e abbandonati al loro destino in questa situazione di emergenza sanitaria?

La risposta sembrerebbe di sì, sebbene la Cassa Forense rassicuri i propri iscritti.

Sul sito http://www.cassaforense.it/in-primo-piano/lettera-ai-nostri-iscritti/, l'ente previdenziale in una lettera agli iscritti, espressamente informa gli avvocati in merito alla valutazione attenta che sarà effettuata di tutte le istanze pervenute in questi giorni dai professionisti e aventi ad oggetto richieste di interventi a sostegno dell'avvocatura. Una valutazione, questa, - dice la Cassa – che riguarderà vari aspetti.

In buona sostanza: 

  • saranno verificati «i profili di sostenibilità economica e compatibilità attuariale, al fine di adottare i provvedimenti più opportuni e utili per la [...] categoria, tanto nel breve quanto nel lungo periodo […]»;
  • saranno esaminati «i possibili interventi a tutela degli iscritti, sia sotto il profilo contributivo, sia sotto il profilo più strettamente assistenziale e di supporto alla professione».

La Cassa forense continua sostenendo che «le risorse già disponibili per l'assistenza verranno utilizzate per il sostegno all'avvocatura in questa emergenza sanitaria».

Orbene proprio tale punto merita attenzione.

Infatti, le risorse già disponibili dovrebbero essere, in questo contesto, subito impiegate per:

  • restituire alla categoria una certa dignità professionale;
  • contenere lo stato di incertezza e di bisogno in cui gli avvocati si ritroveranno per la riduzione del volume d'affari e l'inadeguatezza del reddito;
  • garantire il rispetto dei principi di solidarietà, di uguaglianza e di sostegno di cui agli artt. 2, 3 e 38 Cost.

D'altro canto già il Regolamento per l'erogazione dell'assistenza [1] disciplina una prestazione a favore dei professionisti che, esercitando in zone colpite da calamità naturali e catastrofi, vengano a trovarsi in difficoltà in conseguenza dell'evento calamitoso e dei danni da detto evento provocati agli immobili e/o ai beni strumentali, incidenti sull'attività professionale.

Orbene, perché non prevedere una prestazione di questo genere anche a favore degli avvocati che a causa di un evento catastrofico, come la pandemia, subiscano uno stop della professione forense?

Una soluzione di questa portata sarebbe coerente con il quadro normativo vigente e con le disposizioni statutarie e regolamentari.

Nel frattempo, la Cassa forense – come tra l'altro la stessa ha confermato – continuerebbe ad adoperarsi per reperire risorse aggiuntive da impiegare successivamente al superamento dell'emergenza sanitaria.

Note

[1] Artt. 14, lett. a3 e 15 Regolamento Cassa forense per l'assistenza.

 

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