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Con l'ordinanza n. 33169 dello scorso 21 dicembre, la Cassazione ha fornito importanti precisazioni sul termine di decorrenza della prescrizione per il risarcimento dei danni conseguenti ad infezioni da virus HCV contratte a seguito di emotrasfusioni: pacifico che la prescrizione decorra da quando si abbia conoscenza della rapportabilità causale della malattia alla trasfusione, si è specificato che "la consapevolezza idonea a far decorrere il termine di prescrizione è da apprezzarsi tenendo conto che, per il quivis de populo, il naturale mediatore della conoscibilità della riconducibilità, allorquando non si dimostri una sua particolare attitudine ad acquisirla, non può che essere l'indicazione del medico e, pertanto, di norma, deve ritenersi che occorra che il collegamento sia frutto di tale indicazione medica".
Un uomo citava in giudizio il Ministero della Salute per il risarcimento dei danni patiti da contagio HCV a seguito di una emotrasfusione effettuata nel 1989, in una clinica di Roma, a seguito di un intervento chirurgico.
L'attore deduceva di essersi sottoposto, a settembre 1990, ad una biopsia epatica che diagnosticava "epatite persistente HCV Ab+". Nel 2001 un gastroenterologo gli certificava una cirrosi epatica correlata ad infezione da HCV, riconducibile a terapie di emotrasfusioni effettuate nel 1989, sicché – con istanza del 25 luglio 2011 – l'uomo chiedeva l'indennizzo previsto dalla legge 210/1992; la Commissione medica competente, con verbale del 26 giugno 2002, accertava il nesso causale tra l'emotrasfusione del 1989 e l'infezione da HCV e, pertanto, riconosceva il diritto all'indennizzo.
Sia il Tribunale di Roma che la Corte d'appello rigettavano la domanda: accogliendo l'eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero della salute, i giudici ritenevano che il paziente avesse acquisito la consapevolezza della causa della patologia epatica risalente alla trasfusione, già nel settembre del 1990 in occasione della biopsia epatica, mentre il giudizio di primo grado era stato introdotto soltanto nel novembre del 2004, con conseguente maturazione del termine di prescrizione.
Avverso tale sentenza ricorreva in Cassazione il paziente deducendo come il termine di prescrizione doveva decorrere dal momento in cui aveva avuto l'effettiva conoscenza di essere affetto da una malattia correlata ad una infezione HCV derivante dalle emotrasfusioni effettuate nel 1989.
A tal fine si rilevava che soltanto in data 25 luglio 2001, quando veniva sottoposto a visita specialistica, il direttore della unità di gastroenterologia certificava una cirrosi epatica correlata ad infezione da HCV, riconducibile a terapie di emotrasfusioni effettuate nel 1989, in occasione di un ricovero ospedaliero"; la conoscenza effettiva dell'origine dello stato patologico avveniva il 26 giugno 2002, quando – a seguito della visita collegiale presso la Commissione di Caserta – il verbale di accertamento redatto accertava il nesso causale tra l'emotrasfusione del 1989 e l'infezione da HCV.
La Cassazione condivide le censure formulate dal ricorrente.
In punto di diritto, la Corte ricorda come, per pacifica giurisprudenza, in tema di responsabilità per i danni conseguenti ad infezioni da virus HCV contratte da soggetti emotrasfusi, la prescrizione inizia a decorrere dalla presentazione della domanda di indennizzo di cui alla legge 210/1992 atteso che siffatta istanza attesta l'esistenza, in capo all'interessato, di una sufficiente ed adeguata percezione della malattia; ciò non esclude, tuttavia, la possibilità di collocare l'effettiva conoscenza della rapportabilità causale della malattia in un momento precedente, tenendo conto delle informazioni in possesso del danneggiato e della diffusione delle conoscenze scientifiche, in base ad un accertamento che è rimesso al giudice del merito.
In particolare, si è specificato (Cass. 4996/2017 e 22045/2017) che l'effettiva conoscenza può aversi quando la malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche da apprezzarsi in riferimento al sanitario o alla struttura sanitaria cui si è rivolto il paziente, dovendosi accertare se siano state fornite informazioni atte a consentire all'interessato il collegamento con la causa della patologia o se lo stesso sia stato quanto meno posto in condizione di assumere tali conoscenze.
Alla luce di tali principi, la sentenza in commento ritiene che sia incorsa in errore la Corte Territoriale nel ritenere che il paziente, ricevuta la diagnosi di epatite HCV nel 1990 a seguito di biopsia epatica, avesse acquisito consapevolezza della riferibilità della malattia alla trasfusione: i giudici di merito, infatti, avrebbero dovuto accertare se, in occasione della predetta biopsia epatica, il ricorrente fosse stato avvisato della rilevanza della pregressa trasfusione, così da percepire il nesso tra la malattia e la trasfusione.
Secondo gli Ermellini, tale percezione si sarebbe avuta solo se fossero state fornite dal sanitario nel referto informazioni atte a consentire all'interessato il collegamento con la causa della patologia… o se, pur in mancanza di tali informazioni, il ricorrente avesse avuto e si fosse dimostrato in lui un livello di conoscenze mediche tali da porlo in condizione di ricollegare la malattia diagnosticatagli alla trasfusione.
La Corte di merito, invece, ha apoditticamente ritenuto tale conoscenza conseguita o, comunque, conseguibile da parte del paziente, pur in difetto di informazioni idonee a consentirgli di collegare causalmente la propria patologia alla trasfusione.
In virtù di tanto, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione, che deciderà sul merito della controversia e sulle spese del giudizio di Cassazione.
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