Se questo sito ti piace, puoi dircelo così

Dimensione carattere: +

È legittima la clausola del canone di locazione a scaletta per gli immobili ad uso non abitativo?

justice-law-and-legal-concept-judge-gavel-and-la-2021-08-26-16-57-05-utc

Riferimenti normativi: Art. 32 L. n. 392/1978

Focus: Nelle locazioni commerciali o, comunque, ad uso diverso da quello abitativo, le parti possono concordare il pagamento di canoni a "scaletta" nel tempo, anziché canoni fissi. Tali accordi sono legittimi? Sulla questione si è recentemente pronunciata la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio con la sentenza n. 2577/2 del 2 maggio 2023.

Principi generali: L'Agenzia delle Entrate, con la risposta all'interpello n. 424 del 12 agosto 2022, ha chiarito che << per canoni "a scaletta o scalettati" si intendono canoni di locazione di importo variabile in aumento o in diminuzione in base a elementi predeterminati dalle parti interessate, quali il fatturato oppure l'esecuzione da parte del conduttore dei lavori necessari a rendere l'immobile idoneo all'attività commerciale che verrà ivi svolta. In quest' ultimo caso, il canone di locazione stabilito annualmente in un certo ammontare subisce delle variazioni in diminuzione durante l'esecuzione del contratto e, nella pratica, è utilizzato per consentire al conduttore di "rientrare", totalmente o parzialmente, nelle spese dallo stesso sostenute per la preliminare ristrutturazione dell'immobile, il cui esborso si aggiunge a quello della locazione. La riduzione dei canoni a "scaletta o scalettati", concessa dalla parte locatrice per spese di ristrutturazione su immobile commerciale, rientra, quindi, in un accordo tra le parti che non incide sulla quota dei canoni di locazione, che devono essere iscritti in bilancio in base alla loro maturazione, ma rappresenta l'imputazione in capo al proprietario degli immobili di una parte dei costi sostenuti dal conduttore per le migliorie apportate ai beni>>.

Nel caso di specie, oggetto della sentenza n. 2577/2023 della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio,un contribuente ha impugnato l'avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate ha accertato l'omesso versamento dell'imposta Irpef, dovuta a maggiori redditi di locazione non dichiarati per l'anno 2014, ed ha recuperato a tassazione l'Irpef e le addizionali, oltre ad interessi e sanzioni. Il ricorrente ha eccepito l'assenza del presupposto impositivo e l'illegittimità dell'avviso di accertamento sostenendo che il locatore può prevedere accordi che contemplino successivi aumenti del canone di locazione per poi giungere, dopo un lasso di tempo, all'importo finale costituente il canone di locazione a regime, tenendo conto anche dei lavori effettuati dal conduttore necessari per svolgere l'attività lavorativa (impianto elettrico, ridistribuzione degli spazi, tinteggiatura delle pareti) senza alcun vantaggio per il locatore. Ha evidenziato, perciò, la presenza di errori materiali nell'accertamento, riferiti alla durata del contratto e al canone ivi indicato, precisando, altresì, che per l'anno di imposta 2011 era stata accolta analoga istanza in autotutela. L'Agenzia delle Entrate, costituitesi in giudizio, ha chiesto, nel merito, il rigetto del ricorso sostenendo che l'accordo rientrava nell'ambito di un'operazione permutativa, con un pagamento del canone da parte del conduttore mediante prestazione in natura equivalente ai lavori effettuati dal conduttore.

La Commissione Tributaria Provinciale ha accolto il ricorso del contribuente ritenendo che l'accordo sui lavori intervenuto tra locatore e conduttore non avesse natura permutativa e che i lavori fossero finalizzati a consentire al conduttore di svolgere la propria attività all'interno dei locali. La sentenza è stata impugnata dall'Agenzia delle Entrate con ricorso in appello sostenendo che l'accordo intervenuto tra le parti (canone crescente e onere per il conduttore di effettuare lavori sull'immobile), al di fuori del contratto, avesse natura permutativa, con la conseguenza che per la determinazione dell'imponibile doveva farsi riferimento all'importo a regime anche per gli anni precedenti. La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio ha ritenuto l'appello infondato sulla base dell'orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione. Secondo la Suprema Corte << per il principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, è legittima la clausola in cui venga pattuita l'iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto, salvo che detta clausola costituisca un espediente per aggirare la norma imperativa di cui all'art.32 della L.n.392/1978 circa le modalità e la misura di aggiornamento del canone in relazione alle variazioni del potere d'acquisto della moneta (Cass., n. 4445/2023)>>. Con riferimento al caso in esame, il giudice di appello ha accertato che l'accordo su un canone progressivamente crescente, anziché fisso, è stato inserito fin dall'origine nel contratto di locazione e che le spese sull'immobile erano finalizzate all'esercizio della specifica attività svolta dal conduttore. Poiché dal testo contrattuale non risultava che i lavori fossero una prestazione in luogo di corrispettivo quale parte del canone di locazione, il giudice ha ritenuto che l'accordo non avesse natura permutativa. Pertanto, ha rigettato l'appello dell'ufficio.

 

Tutti gli articoli pubblicati in questo portale possono essere riprodotti, in tutto o in parte, solo a condizione che sia indicata la fonte e sia, in ogni caso, riprodotto il link dell'articolo.

Riforma Cartabia e mediazione familiare.
Il suo nome era Loreto Pea

Forse potrebbero interessarti anche questi articoli

Cerca nel sito