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Dimissioni dell’amministratore e sequestro

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Con la sentenza in commento, depositata lo scorso 5 settembre, n. 37133, la Corte di Cassazione torna sull'annoso tema del sequestro finalizzato alla confisca in tema di reati tributari, nel caso in cui il soggetto imputato sia legale rappresentante di una società.

La problematica, sottesa alle sentenze in materia, è generata dalla discrasia esistente tra indagato e destinatario della misura ablativa, dovuta al difetto di coordinamento tra normativa penale e decreto legislativo 231/2001. Il Decreto - che prevede in maniera tassativa i reati da cui può derivare la responsabilità "amministrativa" degli enti - non annovera nel suo catalogo anche i reati tributari.

Ne consegue che delle sanzioni penali potrà rispondere solo la persona fisica.

Il soggetto contribuente che beneficia del risparmio di imposta, però, è la persona giuridica.

Di talché, la giurisprudenza ha ritenuto ammissibile il sequestro preventivo destinato alla confisca per equivalente in danno dei beni della società beneficiata dall'evasione fiscale realizzata dal suo amministratore, atteso che di tali beni l'indagato ha o comunque ha avuto la disponibilità proprio in quanto amministratore della società - soggetto contribuente.

Premesso questo in punto di principio, occorre analizzare il fatto sottoposto all'esame della Corte.

Il nuovo legale rappresentante della società - che aveva visto i conti correnti e titoli sottoposti alla misura ablativa - proponeva ricorso per cassazione ritenendo che i giudici del riesame non avessero considerato come al momento dell'emissione del decreto di sequestro l'indagato non fosso socio, bensì solo legale rappresentante della società e che dunque rispetto ai beni oggetto del sequestro avesse solo un potere di firma.

Rilevava inoltre come, poco dopo, si fosse dimesso da tale carica e come dunque la società cui i beni venivano sottoposti a sequestro fosse ormai un soggetto terzo estraneo al reato. 

La Corte, pur ritenendo di poter dichiarare la inammissibilità del ricorso per mancanza di procura speciale, entra nel merito della correttezza dell'ordinanza, confermando il proprio indirizzo.

Sottolinea peraltro come la disponibilità dei beni in esame, formalmente di proprietà della società, in capo all'indagato dipendesse proprio dalla qualifica di amministratore unico rivestita.

Da ciò dipendeva che ne avesse la disponibilità giuridica e di fatto.

Infine, osserva, come la circostanza delle dimissioni fosse stata presa in considerazione dai giudici del riesame, i quali, però, la avevano valorizzata, in ragione della tempistica dell'avvicendamento, come un artificio posto in essere per sottrarre i beni al vincolo reale.

 

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