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Costruzione abusiva: nudo proprietario colpevole solo se ha dato il consenso

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Con la sentenza n. 15760 dello scorso 25 maggio, la III sezione penale della Corte di Cassazione, ha assolto la nuda proprietaria di un immobile per una sopraelevazione abusiva realizzata dalla madre, usufruttuaria dell'appartamento oggetto di intervento edilizio.

Si è difatti precisato che " Ove l'usufruttuario realizzi dei lavori non autorizzati di sopraelevazione di un immobile, il nudo proprietario del bene non è responsabile del reato di cui all'art. 44 d.P.R. n. 380/2001 per la sola qualità rivestita; il nudo proprietario è penalmente responsabile solo ove abbia avuto piena consapevolezza dell'esecuzione dell'attività edilizia e abbia dato il suo consenso, anche se tacito o implicito".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di una donna, nuda proprietaria di un immobile, accusata di aver concorso con la madre, usufruttuaria e committente, nella realizzazione di lavori di sopraelevazione, con edificazione del secondo piano di un immobile.

In particolare si contestava l'esecuzione dei lavori, eseguiti senza permesso a costruire, in zona sismica, senza la realizzazione di un progetto esecutivo redatto da tecnico abilitato e senza la direzione di un tecnico abilitato, oltre che senza avere dato preavviso al Comune.

Per tali fatti, sia il Tribunale di Gela che la Corte d'appello di Caltanissetta condannavano la ragazza per concorso nel reato di cui all' art. 44, lett. b) del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, infliggendole una pena sospesa di mesi otto e giorni 15 di reclusione e Euro 400,00 di multa. 

 Ricorrendo in Cassazione, l'imputata eccepiva violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all'affermazione della responsabilità penale, deducendo come la responsabilità penale fosse stata accertata sulla mera circostanza che ella era proprietaria, senza considerare che il reato di costruzione abusiva non può essere fondato sul mero dato della proprietà del bene, non essendo configurabile in capo al proprietario alcun l'obbligo giuridico di impedire l'evento.

In punto di fatto, la difesa della donna eccepiva come la stessa non fosse
titolare di alcun diritto di godimento
, essendo l'usufrutto in capo alla di lei madre, committente delle opere abusive; inoltre la ragazza, avendo la residenza in un altro Comune, neanche aveva avuto modo di venire a conoscenza dell'intervenuta costruzione.

La Cassazione condivide le doglianze formulate.

In punto di diritto gli Ermellini ricordano che in tema di reato di costruzione abusiva, l'autore materiale della contravvenzione va individuato in colui che, con propria azione, esegue l'opera abusiva, ovvero la commissiona ad altri, anche se difetti della qualifica di proprietario del suolo sul quale si è edificato, mentre il semplice comportamento omissivo dà luogo a responsabilità penale solo se l'agente aveva l'obbligo giuridico di impedire l'evento, obbligo che certamente non sussiste in capo al nudo proprietario dell'area interessata dalla costruzione, non essendo esso sancito da alcuna norma di legge.

Ne deriva che il proprietario del bene sul quale sono stati eseguiti i lavori non è responsabile del reato di cui all'art. 44 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 per la sola qualità rivestita, ma occorre quantomeno la sua piena consapevolezza dell'esecuzione delle opere da parte del coimputato, nonché il suo consenso, anche implicito o tacito, in relazione all'attività edilizia posta in essere; tale consenso può dedursi da indizi quali la piena disponibilità della superficie edificata, l'interesse alla trasformazione del territorio, il deposito di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria, la fruizione dell'immobile secondo le norme civilistiche sull'accessione nonché tutti quei comportamenti (positivi o negativi) da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione anche morale alla realizzazione del fabbricato.

Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini rilevano come la motivazione del provvedimento impugnato è del tutto carente nel rintracciare i siffatti indizi che farebbero emergere un consenso, anche implicito o tacito, alla sopraelevazione.

I giudici di merito si sono limitati, infatti, ad affermare che la ragazza, sebbene risiedesse in altro comune, certamente avrebbe potuto rendersi conto dei lavori in corso, posto che era solita raggiungere i suoi genitori in occasione delle festività principali.

La sentenza impugnata non ha, quindi, tenuto affatto in considerazione che la ragazza né era la committente delle opere né aveva alcun diritto di godimento del bene, così contravvenendo ai principi giurisprudenziali sopra richiamati.

In conclusione, la Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata, per l'intervenuta prescrizione dei reati contestati nel corso del giudizio. 

 

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