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SC: presunzioni qualificate per accertare utilizzatore di fatture per operazioni inesistenti se contabilità è corretta

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I giudici di legittimità con la sentenza n.15862 pubblicata il 15 giugno 2018, nell'analizzare il ricorso proposto dall'amministrazione finanziaria per ottenere la riforma della sentenza che vedeva vittoriosi i contribuenti (società di persone e soci) nei due precedenti gradi di giudizio, hanno affrontato la problematica del disconoscimento di fatture regolarmente registrate in contabilità ma ritenute riferibili ad operazioni inesistenti in base al contenuto del p.v.c. redatto nei confronti della società emittente.

L'Ufficio, sulla scorta delle contestazioni mosse nei confronti della società emittente le fatture, senza alcun controllo nei confronti della società ricevente, aveva disconosciuto il contenuto delle dette fatture ed aveva emesso avvisi di accertamento nei confronti della società acquirente ed anche, in base al principio di trasparenza, nei confronti dei soci attribuendo loro il presunto maggior reddito conseguito dalla società.

Tralasciando in questa sede le problematiche affrontate in sentenza e relative al litisconsorzio necessario in presenza di accertamenti emessi nei confronti di società di persone e soci si ritiene di evidenziare l'importante profilo relativo all'istituto delle presunzioni così come sentenziato dai giudici di legittimità, infatti, si legge nel corpo della sentenza: in tema di accertamento tributario relativo sia all'imposizione diretta, che all'IVA, la legge - rispettivamente art.39, primo comma, del d.p.r. 29 settembre, n. 600 (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) ed art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 - dispone che resistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni nel secondo, possono essere desunte sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, senza necessità che l'Ufficio fornisca prove certe. Pertanto il giudice tributario di merito, investito dalla controversia sulla legittimità e fondatezza dell'atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall'Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma solo per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che la sorreggono) e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingrasso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli art. 2727 e ss e 2697, secondo comma, cod. civ. (...)

In base a detto principio la Corte ha riscontrato che i giudici di merito, con articolata ed esaustiva motivazione, nonostante l'Ufficio avesse allegato, negli avvisi accertamento emessi nei confronti della società utilizzatrice delle fatture ritenute relative ad operazioni inesistenti, la copia del p.v.c. redatto nei confronti della società emittente le dette fatture, avevano ritenuto che gli accertamenti emessi dall'Ufficio finanziario nei confronti della società acquirente e dei soci non fosse comunque basato su presunzioni qualificate, che rilevassero l'annotazione di fatture per operazioni inesistenti sulla considerazione che tali presunzioni, in assenza di ulteriori riscontri in capo alla detta società, potevano operare solo nei confronti della società emittente, ovvero, l'Ufficio non aveva adotto nel corpo degli avvisi di accertamento elementi sufficienti per ritenere che proprio le fatture emesse eni confronti della società utilizzatrici e regolamenti pagate rientrassero tra quelle relative ad operazioni inesistenti.

 

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