Se questo sito ti piace, puoi dircelo così

Dimensione carattere: +

Processo tributario, SC: “Le presunzioni semplici sono prove complete, il giudicato penale è elemento di prova”

Imagoeconomica_1409450

Con la recentissima pronuncia n. 17619 depositata lo scorso 5 luglio, la sezione Tributaria della Corte di Cassazione, ha fornito importanti precisazioni sul ruolo delle presunzioni e del giudicato penale nel processo tributario, statuendo che l'onere della prova può essere assolto anche mediante presunzioni semplici e che la sentenza penale irrevocabile rappresenta un semplice elemento di prova, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie, anche di natura presuntiva.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dal ricorso effettuato da una società operante nel settore dell'edilizia avverso l'emissione di tre avvisi di accertamento per IVA, IRPEG ed IRAP relativi agli anni d'imposta 2002, 2003 e 2004 ed inerenti ad operazioni oggettivamente inesistenti; gli accertamenti traevano origine da una verifica fiscale effettuata nei confronti di un'altra società, a seguito della quale sarebbe emerso che quest'ultima aveva emesso fatture fittizie nei confronti dell'impresa edile, fatture da quest'ultima utilizzate.

La C.T.P. di Roma, prima, e la C.T.R. del Lazio, dopo, confermavano la legittimità degli accertamenti compiuti, avendo l'Agenzia fornito elementi indiziari sull'assetto societario della società fornitrice (quali la mancanza di una adeguata struttura organizzativa e di beni strumentali, l'assenza di esperienza nel settore non essendovi contratti di appalto stipulati per iscritto né traccia di acquisti di merci o materiali) ritenuti idonei a dimostrare che la società edile avesse utilizzato fatture per operazioni oggettivamente inesistenti emesse dalla società fornitrice.

Avverso la sentenza della Commissione Regionale, il contribuente proponeva ricorso per Cassazione, evidenziando che la CTR, basandosi su una serie concatenata di presunzioni semplici, partendo dall'unico fatto noto costituito dall'inidoneità della struttura organizzativa della società, fosse incorsa nel divieto di praesumptio de praesunto; in secondo luogo evidenziava che i giudici di secondo grado non avessero attentamente valutato e considerato né l'intervenuto giudicato penale di assoluzione né la documentazione prodotta in giudizio, dalla quale si evinceva sia la reale operatività della società che aveva emesso le fatture, sia l'effettività delle opere e dei servizi descritti nelle fatture rilasciate. 

La Cassazione accoglie il ricorso, precisando aspetti importanti inerenti il riparto dell'onere probatorio e la valutazione delle prove nel rito tributario.

In relazione all'onere probatorio, poiché la fattura, di regola, costituisce titolo per il contribuente ai fini della detrazione dell'IVA e alla deducibilità dei costi, spetta all'Ufficio dimostrare il difetto delle condizioni per l'insorgenza di tale diritto.

La dimostrazione può ben consistere in presunzioni semplici, poiché la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n. 9108 del 06/06/2012).

In relazione alla fattispecie sottoposta al proprio esame, gli Ermellini ritengono che non ricorre un caso, vietato, di doppia presunzione: dall'assenza di beni strumentali adeguati all'esecuzione delle opere indicate nelle fatture contestate – assenza che costituisce elemento noto in quanto accertato – si è giunti alla presunzione relativa all'emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Essendo stato provato dall'Amministrazione, attraverso il ricorso a presunzioni, che le fatture portate a detrazione riguardassero operazioni oggettivamente inesistenti, la Corte specifica che diventa onere del contribuente dimostrare l'effettiva esistenza delle operazioni contestate (Cass. n. 24426 del 30/10/2013).

Tale prova non può essere affidata unicamente al giudicato penale formatosi sul medesimo fatto storico, in quanto per il reato di esposizione di elementi passivi fittizi mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti l'intervenuto giudicato penale non opera automaticamente per i fatti relativi alla correlata azione di accertamento fiscale nei confronti della società: la sentenza penale irrevocabile rappresenta un semplice elemento di prova, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie, anche di natura presuntiva. 

La giurisprudenza, infatti, è granitica nel ritenere che, "stante l'autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale (in relazione ai quali sussistano regole differenti per l'accertamento probatorio, non potendo, ad esempio, il giudice penale basarsi su presunzioni) il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l'esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma, nell'esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti, deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio" (Cass. n. 19786/2011 e n. 2938/2015).

La sentenza impugnata, secondo gli Ermellini, ha omesso di valutare la valenza del giudicato unitamente a tutti gli altri elementi di prova, prodotti dal ricorrente: siffatti elementi sono ritenuti dalla Corte idonei a porre in discussione la qualificazione di oggettiva inesistenza delle fatture, qualificazione attribuitale dalla CTR sulla base dei soli elementi indiziari forniti dall'Amministrazione finanziaria.

In particolare, la società edile, in adempimento dell'onere probatorio che la legge pone a suo carico, aveva prodotto documentazione – tra cui, attestazioni INPS relative ai dipendenti della società fornitrice, un PVC e altra documentazione relativa a rapporti intrattenuti tra questa società con altre ditte, documentazioni ministeriali attestanti l'effettiva esecuzione di una serie di opere commissionate verbalmente, da parte della ricorrente, anche con l'utilizzo di ditte subappaltatrici, per gli anni 2002, 2003 e 2004 – idonea a provare sia la reale esistenza della società che aveva emesso le fatture, sia l' effettiva esecuzione delle opere indicate nelle fatture rilasciate da quest'ultima società.

In virtù di tanto la Corte, accogliendo il ricorso, affida al giudice del rinvio il compito di effettuare una nuova valutazione del complessivo materiale probatorio acquisito agli atti di causa, al fine di statuire sull'oggettiva esistenza delle operazioni sottostanti alle fatture e, correlativamente, sulla legittima deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette. 

Nome File: Cass.-17619
Dimensione File: 1.2 mb
Scarica File

 

Tutti gli articoli pubblicati in questo portale possono essere riprodotti, in tutto o in parte, solo a condizione che sia indicata la fonte e sia, in ogni caso, riprodotto il link dell'articolo.

"Tu Chicca, icona di tutti i bimbi abusati". Un er...
Autoriciclaggio, quando il protagonista non è puni...

Forse potrebbero interessarti anche questi articoli

Cerca nel sito