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Conflitto di interessi dell'avvocato. Requisiti e casistica

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 Fonte (https://www.codicedeontologico-cnf.it/)

L'art.24 del codice deontologico forense vieta l'esercizio dell'attività professionale "quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale" (comma 1).

Sussistenza dell'illecito

Innanzi tutto per quanto riguarda la sussistenza di tale illecito disciplinare, il Consiglio Nazionale Forense ha rilevato che il dovere di astensione opera anche nel caso in cui il conflitto di interessi sia solo potenziale, nel senso che "potenzialmente l'opera del professionista possa essere condizionata da rapporti di interesse con la controparte". Ciò in quanto lo scopo della norma è quello di evitare situazioni che possano far dubitare della correttezza dell'operato dell'avvocato.(in tal senso CNF, sentenza n.121 dell'11 giugno 2021; CNF, sentenza n.139 del 7 luglio 2021).

Inoltre il conflitto di interessi configura un illecito di pericolo, in quanto tutela l'affidamento della collettività sulla capacità degli avvocati di far fronte ai doveri che l'alta funzione esercitata impone. Infatti il secondo comma dell'art.24 cit. stabilisce che "l'avvocato nell'esercizio dell'attività professionale deve conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni o condizionamenti di ogni genere, anche correlati a interessi riguardanti la propria sfera personale." Pertanto la suddetta norma tutela

  • sia la condizione astratta di imparzialità e di indipendenza dell'avvocato, con la conseguenza che non solo deve essere chiara la terzietà dell'avvocato, ma è altresì necessario che in alcun modo possano esservi situazioni o atteggiamenti tali da far intendere diversamente,
  • sia "la loro apparenza (in quanto l'apparire indipendenti è tanto importante quanto esserlo effettivamente), dovendosi in assoluto proteggere, tra gli altri, anche la dignità dell'esercizio professionale e l'affidamento della collettività sulla capacità degli avvocati di fare fronte ai doveri che l'alta funzione esercitata impone, quindi a tutela dell'immagine complessiva della categoria forense, in prospettiva ben più ampia rispetto ai confini di ogni specifica vicenda professionale." (CNF, sentenza n.121 dell'11 giugno 2021).

Da ciò discendono due conseguenze: 1) trattandosi di un bene indisponibile, "neanche l'eventuale autorizzazione della parte assistita, pur resa edotta e, quindi, scientemente consapevole della condizione di conflitto di interessi, può valere ad assolvere il professionista dall'obbligo di astenersi dal prestare la propria attività"; 2) "poiché si intende evitare situazioni che possano far dubitare della correttezza dell'operato dell'avvocato, perché si verifichi l'illecito (c.d. di pericolo) è irrilevante l'asserita mancanza di danno effettivo", che non è elemento costitutivo dell'illecito contestato (CNF, sentenza n.42 del 29 aprile 2022;CNF, sentenza n.139 del 7 luglio 2021).

Casistica

Passando all'analisi dei casi nei quali casi può verificarsi, il conflitto di interessi è stato rilevato che ai fini della sua sussistenza non è sufficiente la mera condivisione dei locali con il legale di controparte, qualora non emerga in modo certo che i due professionisti, oltre a condividere il locali di studio, collaborino anche in maniera non occasionale. Sul punto il Consiglio ha affermato che è vero che ai sensi del comma 5 art. 24 cit. l'avvocato deve astenersi dall'accettare il mandato qualora il legale avversario faccia parte della propria società o associazione professionale ovvero eserciti negli stessi locali e vi collabori professionalmente in maniera non occasionale, tuttavia "a differenza del codice previgente (art. 37), ove tale ultimo inciso mancava, ai fini dell'obbligo di astensione è ora necessaria una collaborazione continuativa e non occasionale tra i professionisti". Il Consiglio, ha altresì precisato che tale condizione "va provata "oltre ogni ragionevole dubbio" e non può quindi essere desunta da meri elementi presuntivi come l'uso comune di linee telefoniche e/o di servizi di posta elettronica, trattandosi di risorse logistiche neutre – a differenza della PEC – compatibili con una condivisione degli spazi di uno stesso studio riferibili anche a semplici rapporti di ospitalità e/o amicizia" (CNF, sentenza n.22 del 22 marzo 2022).

 Dubbi circa la sussistenza del conflitto di interessi sono sorti in ambito societario e, precisamente, nei casi in cui l'avvocato presti assistenza ad una società in nome collettivo e ad alcuni soci della stessa. Ciò può verificarsi ad esempio allorquando l'avvocato, dopo aver assistito una società di persone in attività di recupero crediti, assuma la difesa di un socio nella pratica di cessione delle quote ad altro socio oppure presti assistenza per la valutazione della sussistenza di un'eventuale giusta causa di scioglimento della società medesima. In materia il Consiglio Nazionale Forense ha sostenuto che "la società di persone "è priva di personalità giuridica e i soci sono solidalmente e potenzialmente responsabili per le obbligazioni della medesima, sicché un incarico assunto nell'interesse della società stessa è automaticamente relativo anche a un interesse dei singoli soci, indipendentemente dal profilo dell'autonoma capacità processuale della società stessa"; con la conseguenza che "la circostanza che l'avvocato abbia già svolto incarichi per conto della società di persone gli impedisce di assumere la difesa del singolo socio, tanto più se in controversia attinente alla vita della società medesima" (Consiglio nazionale forense, parere n. 11 del 4 febbraio 2022).

Di diverso avviso è la Corte di Cassazione, secondo la quale è errato ritenere che «un incarico assunto nell'interesse di una società in nome collettivo» sia «automaticamente relativo anche ad un interesse dei singoli soci», in ciò ravvisando il conflitto di interessi rilevante ex art. 24 cit.. Ciò in quanto in base a consolidati principi giurisprudenziali

  • "la società costituisce un distinto centro di interessi e imputazione di situazioni, dotato di una propria autonomia e capacità rispetto ai soci";
  • "la responsabilità verso terzi dei soci, sancita dagli artt.2304 e 2291 c.c., si atteggia come una forma di garanzia fissata ex lege; tanto che il socio, il quale ha provveduto a pagare il debito sociale, ha azione di regresso nei confronti della società";
  • "l'avere assunto incarichi pur sempre per la società o per soci in posizioni analoghe (...) e in posizione contrapposta  (...) a quella di altro socio, non integra l'illecito di conflitto di interessi" (Cass. Civile SS.UU. n.8337/2022).

 

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