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Condanna alle spese processuali dell’Agenzia delle Entrate

Condanna alle spese processuali dell’Agenzia delle Entrate

Riferimenti normativi: art.15, commi 2 e 3, D.Lgs.n. 546/92 e D.Lgs. n.156/2015 – art.91 c.p.c.

Focus: Il principio di soccombenza, esistente da antica data nel processo civile, è stato integralmente recepito nel processo tributario. Solitamente la condanna alle spese processuali colpisce il contribuente che sia risultato soccombente nei diversi gradi del giudizio tributario, a differenza dell'Amministrazione finanziaria soccombente per la quale, generalmente, si assiste alla compensazione delle spese processuali. Recentemente, però, si è affermato un diverso orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione con l'Ordinanza n.27444/2020.

Principi generali: "La parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza". Così dispone l'art.15, comma 1, D.Lgs.n.546/92 richiamandosi al principio di soccombenza di cui all'art.91c.p.c. "per cui chi ha dato causa ad un giudizio con il proprio comportamento rivelatosi contra ius è tenuto a rifondere le spese anticipate dalla controparte". Il comma 2 dell'art.15 D.Lgs.n. 546/92, a seguito di riforma del processo tributario a decorrere dall'1 gennaio 2016, testualmente dispone che: "Le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate"Pertanto, in caso di soccombenza parziale, in cui sono rigettate alcune delle domande proposte, il giudice, con valutazione discrezionale può compensare parzialmente le spese di lite. Ciò premesso, nella vicenda processuale della quale si è occupata la Corte di Cassazione con l'Ordinanza n.27444/2020, nonostante la soccombenza del contribuente dinanzi alle Commissioni tributarie di primo e di secondo grado, la Corte Suprema ha affermato che quando l'Agenzia delle Entrate resiste in giudizio senza difensore "deve escludersi che la parte privata possa essere condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dall'Ufficio per diritti e onorari".

Il caso ha avuto origine da un avviso di accertamento volto al recupero di imposta Irpef, per l'anno 2011, emesso dall'Agenzia delle Entrate nei confronti di un contribuente per la mancata dichiarazione, da parte di quest'ultimo, di canoni di locazione mai percepiti previsti da un contratto formalmente in essere. L'atto impositivo citato veniva impugnato dal contribuente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale. Quest'ultima accoglieva il ricorso parzialmente, limitatamente a sei mensilità dell'anno 2011 riferite a canoni non riscossi, essendosi il conduttore reso moroso. La sentenza veniva impugnata dall'Ufficio presso la Commissione tributaria regionale che accoglieva il ricorso rilevando che i canoni di locazione, anche se non percepiti, devono essere dichiarati sino a quando intervenga una causa di risoluzione del contratto e, inoltre, condannava il contribuente al pagamento delle spese processuali. Di conseguenza il contribuente impugnava la sentenza di secondo grado dinanzi ai giudici di legittimità eccependo, innanzitutto, la violazione da parte dei giudici di secondo grado del principio civilistico che prevede espressamente l'effetto retroattivo della risoluzione del contratto per inadempimento. In secondo luogo, tra gli altri motivi, il ricorrente eccepiva la violazione dell'art.91 c.p.c. poiché la Commissione tributaria regionale aveva erroneamente liquidato le spese di giudizio pur in mancanza di costituzione dell'Agenzia delle Entrate a mezzo dell'Avvocatura dello Stato o di un legale.

La Suprema Corte ha confermato parzialmente la sentenza di secondo grado riconoscendo la legittimità della ripresa fiscale da parte dell'Agenzia delle Entrate ma annullandola limitatamente alla statuizione del pagamento delle spese processuali. Infatti, recita la pronuncia, "come si legge nell'intestazione della sentenza di secondo grado l'Agenzia delle Entrate è stata in giudizio senza il ministero del difensore e quindi deve escludersi che la parte privata possa essere condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dall'Ufficio per diritti e onorari (Cass.4813/2016)"In conclusione, è stato evidenziato dai giudici di legittimità che in entrambi i gradi di giudizio la difesa dell'amministrazione finanziaria veniva affidata ai propri funzionari dell'ufficio legale. Di conseguenza, l'Agenzia delle Entrate quando si avvale per la difesa di un funzionario appositamente delegato non può ottenere la condanna del contribuente che sia soccombente al pagamento dei diritti di procuratore e onorari di avvocato, difettando le relative qualità nel funzionario amministrativo che sta in giudizio. In tal caso, quindi, la rifusione delle spese può avvenire soltanto qualora l'ente si sia avvalso dell'Avvocatura di Stato.

 

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