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Processo civile: la valutazione equitativa del danno ha natura suppletiva e non integrativa

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Inquadramento normativo: art. 1226 c.c.

La valutazione equitativa del danno come strumento di determinazione del pregiudizio di natura suppletiva: La Corte di Cassazione con ordinanza n. 26051 del 17 novembre 2020 ha chiarito come la liquidazione equitativa del danno di cui all'art. 1226 c.c. sia un rimedio di natura suppletiva e non un rimedio di natura sostituiva.

Ma vediamo nel dettaglio l'iter logico-giuridico seguito dalla Suprema Core.

Ammissibilità valutazione equitativa del danno: Il giudice ricorre alla valutazione equitativa del danno quando il danno non può essere determinato nel suo ammontare preciso. Questo tipo di valutazione ha natura sussidiaria e non sostitutiva. E ciò in considerazione del fatto che essa:

  • presuppone l'esistenza d'un danno oggettivamente accertato;
  • attribuisce al giudice di merito non già un potere arbitrario, ma una facoltà di integrazione in via equitativa della prova semipiena circa l'ammontare del danno.

La conferma della natura sussidiaria e non integrativa della valutazione equitativa del danno discende anche dal fatto che a questo tipo di valutazione non si può ricorrere per colmare carenze o decadenze istruttorie in cui le parti incorrono. 

Infatti, perché possa trovare applicazione la valutazione equitativa in esame occorre che o sia dimostrata l'esistenza d'un danno certo o sia altamente verosimile un effettivo pregiudizio, con l'ovvia conseguenza che non si potrà procedere alla liquidazione equitativa qualora il danno risulti solo eventuale o ipotetico e non sufficientemente provato dalle parti. Questo principio costituisce da oltre cinquant'anni jus receptum nella giurisprudenza di legittimità (a partire da Cass., n. 1536/1962, secondo cui "la valutazione equitativa del danno presuppone che questo, pur non potendo essere provato nel suo preciso ammontare, sia certo nella sua esistenza ontologica"; Cass. nn. 838/1963; 1327/1963; 2125/1965; 1964/1967; 181/1974; 3418/1968; 3977/1982; 7896 /2002, richiamate da Cass., n. 2605172020).

Ad esempio, se si agisce in giudizio per chiedere il risarcimento del danno subito a causa della distruzione di un bene, la liquidazione equitativa sarà ammissibile se:

  • il pregiudizio sia provato, ossia che la cosa distrutta abbia un concreto valore oggettivo e non meramente ipotetico o d'affezione;
  • sia impossibile quantificare il danno;
  • l'impossibilità di stimare con precisione il pregiudizio sia i) oggettiva, cioè positivamente riscontrata e non meramente supposta; ii) incolpevole, cioè non dipendente dall'inerzia della parte gravata dall'onere della prova.

Difronte alla sussistenza di questi presupposti il giudice avrà la facoltà di ricorrere alla liquidazione equitativa del danno che, come su accennato, si configura come un rimedio fondato sull'equità c.d. "integrativa" o "suppletiva": l'equità, cioè, intesa non quale principio che si sostituisce alla norma di diritto nel caso concreto, ma quale principio che completa la norma giuridica. In buona sostanza la valutazione in questione, intesa come equità integrativa, è uno strumento che consente un equo contemperamento di interessi contrapposti cui ricorrere quando è impossibile la quantificazione del danno. Considerare la valutazione equitativa in esame come sostitutiva significherebbe ricorrere alla stessa anche quando la determinazione del danno risulti difficile e non solo impossibile, come nel caso in cui la difficoltà di stima del pregiudizio discende da omissioni delle parti. In simili casi [...] non vi sono contrapposti interessi da contemperare, tutti egualmente meritevoli di tutela: al contemperamento degli interessi si sostituisce qui l'applicazione rigorosa del principio di autoresponsabilità, in virtù del quale ciascuno deve subire le conseguenze giuridiche delle proprie azioni od omissioni.

È evidente che l'interpretazione dell'art. 1226 c.c. è nel senso su esposto, ossia nel senso di valutazione equitativa suppletiva. Una interpretazione diversa si porrebbe, a tacer d'altro, in contrasto col precetto costituzionale che garantisce la parità delle parti e la terzietà del giudice (art. 111 cost.; sulla impossibilità che la liquidazione equitativa possa essere utilizzata per colmare lacune istruttorie imputabili alle parti si vedano, Cass., nn. 10850/2003; 6056/1990; 3176/1963, richiamate da Cass., n. 2605172020). 

 

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