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Compensi legali concordati tra le parti: il giudice deve accertare l’effettiva volontà delle parti

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Con l'ordinanza n. 5892 dello scorso 23 febbraio in materia di compensi legali, la II sezione civile della Corte di Cassazione ha respinto l'istanza di un difensore che, per l'attività stragiudiziale svolta a favore di una società, chiedeva il compenso derivante dall'applicazione di una tariffa di Lire 250.000 per ora o frazione di ora, sostenendo come tale tariffa fosse stata concordata tra le parti, mediante il richiamo alla Tabella B della tariffa di cui al D.M. n. 585/1994.

La Cassazione, negando che le parti avessero voluto effettivamente richiamare la citata Tabella B, che riguardava il processo esecutivo e non l'attività stragiudiziale, ha ricordato che in tema di ermeneutica contrattuale, l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell'ipotesi di violazione dei canoni legali d'interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e segg. c.c.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dalla domanda presentata da un legale, volta ad ottenere i compenso di lire 22.956.000, maturato per l'attività stragiudiziale svolta, a favore di una società, nei mesi da febbraio a maggio 2001 e derivante dall'applicazione di una tariffa di Lire 250.000 per ora o frazione di ora, concordata tra le parti, mediante il richiamo alla Tabella B della tariffa di cui al D.M. n. 585/1994. 

 Il Tribunale di Bologna, sul presupposto che l'attore non avesse provato il tempo effettivamente impiegato per svolgere l'incarico, liquidava il compenso del professionista nel 25% della somma richiesta, sul presupposto che per ogni singola attività fosse stato impiegato un tempo medio di 15 minuti, così condannando la parte convenuta a pagare la minor somma di Lire 5.950.000, in applicazione della Tabella D della tariffa ratione temporis vigente.

L'avvocato proponeva appello, lamentando l'applicazione di parametri diversi da quelli concordati dalle parti, nonché l'illegittima decurtazione dell'importo, previsto in Lire 250.000 non solo per le ore intere, ma anche per le relative frazioni.

La Corte d'Appello di Bologna rigettava l'appello, ritenendo inapplicabile alla fattispecie concreta la tariffa di cui alla Tabella B (riferentesi ai diritti e onorari del processo di esecuzione), e pertinente, invece, il richiamo alla Tabella Sub D, il cui n. 10 effettivamente prevede la possibilità di concordare, per l'attività stragiudiziale, un compenso "commisurato alla durata della prestazione e delle attività accessorie". I giudici di secondo grado, tuttavia, rilevavano come nel caso di specie non era stato provato che le parti avessero pattuito la medesima tariffazione anche per le frazioni di ora.

Il legale proponeva, quindi, ricorso in Cassazione, eccependo la violazione dell'art. 2233, per avere il giudice di merito ignorato il contenuto dell'accordo intervenuto tra le parti, nella parte in cui, ai fini della quantificazione del compenso a tempo per le prestazioni stragiudiziali, faceva riferimento alla Tabella B della tariffa forense, in modo da equiparare le frazioni di ora alle ore intere.

Secondo il ricorrente, la decisione impugnata aveva indebitamente limitato l'autonomia negoziale assicurata alle parti dall' art. 2233 c.c..

La Cassazione non condivide le doglianze sollevate dal ricorrente.

La Corte evidenzia che in tema di ermeneutica contrattuale, l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell'ipotesi di violazione dei canoni legali d'interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e segg. c.c.

Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d'interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali.

Con specifico riferimento al caso di specie, la Cassazione rileva come non potesse darsi credito al richiamo, contenuto nella convenzione intercorsa tra le parti, alla Tabella B, punto II (la quale dispone che "se le prestazioni richiedono più di un'ora, è dovuto per ogni ora o frazione di ora in più il diritto di vacazione"), riguardando la stessa il processo di esecuzione, e non già l'attività stragiudiziale, rilevante nel caso di specie.

Conseguentemente, la violazione dell' art. 2233 c.c., non appare sussistente, posto che il giudice di merito non ha applicato la tariffa forense sull'erroneo presupposto che le parti non avessero pattuito i criteri di determinazione del compenso, ma - al contrario -, dando per presupposto tale accordo, ha ritenuto che con esso le parti, nonostante l'erroneo richiamo della Tabella B II, avessero in realtà inteso riferirsi alla Tabella D, sicché l'applicazione di quest'ultima, lungi dall'obliterarlo, rappresentava proprio l'effetto di tale accordo.

In conclusione, la Corte respinge il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'Appello di Bologna, in diversa composizione, là quale provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. 

 

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