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Compensi avvocati: la comunanza delle questioni trattate non giustifica la disapplicazione della tariffa.

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Con la sentenza n. 32534/2023, la prima sezione della Corte di Cassazione, in accoglimento del ricorso proposto da un legale, ha cassato il decreto con il quale il Tribunale, ritenendo di poter disapplicare la tariffa professionale forense, aveva liquidato il compenso professionale dovuto per l'assistenza in tre distinte controversie in misura inferiore ai minimi fissati dal d.m. 55/2014.

Secondo il giudice del merito, l'applicazione dei parametri del tariffario forense nel caso di specie risultava irragionevole considerato che la prima causa, ritenuta di media difficoltà e di valore indeterminabile, non aveva presentato particolari difficoltà e non aveva richiesto la redazione di difese scritte; mentre le altre due cause contenevano ripetizioni argomentative della prima, richiedendo la discussione delle stesse questioni, il che consentiva di ritenere dovuto per l'intero, per queste ultime, solo il compenso per la fase introduttiva e quella decisionale, con riduzione dei compensi minimi della metà per gli atti introduttivi. 

La Cassazione ha accolto il ricorso del legale enunciando, tra gli altri, i seguenti principi:


- il compenso matura per la fase di studio della controversia in relazione alle attività previste dall'art. 5, lett. a), del d.m. n. 55/2014, vale a dire "l'esame e lo studio degli atti a seguito della consultazione con il cliente … la ricerca dei documenti e la conseguente relazione o parere, scritti oppure orali, al cliente, precedenti la costituzione in giudizio", a prescindere, evidentemente, dal fatto che la singola controversia abbia questioni, in fatto o in diritto, comuni ad altra trattata dallo stesso avvocato per conto dello stesso cliente, posto che la percezione stessa della comunanza delle questioni tra le diverse controversie segue e non precede la fase di studio degli atti e la ricerca dei relativi documenti; 

  - ai fini della liquidazione giudiziale del compenso spettante all'avvocato nel rapporto col proprio cliente (ove ne sia mancata la determinazione consensuale), dopo le modifiche degli artt. 4, comma 1 e 12, comma 1, del d.m. n. 55/2014, apportate dal d.m. n. 37/2018, il giudice non può in nessun caso diminuire oltre il 50 per cento i valori medi di cui alle tabelle allegate.

 

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