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L'espressione latina culpa in vigilando, traducibile con "colpa nella vigilanza", indica la colpa sottostante alla responsabilità per il fatto illecito altrui, che viene attribuita a coloro che sono tenuti alla sorveglianza.
Tale forma di responsabilità ha costituito il fondamento per una recente decisione (n. 277 del 5 dicembre 2023, ma pubblicata solo di recente), resa dal Consiglio Nazionale Forense all'esito del ricorso proposto da un avvocato, contro la decisione con la quale il consiglio distrettuale di disciplina gli aveva inflitto la sanzione della censura, per violazione degli artt. 19 e 41 del codice deontologico forense.
Nel dettaglio, al professionista era stato contestato di aver inviato una comunicazione a mezzo di posta elettronica certificata, direttamente alla controparte nonostante la stessa avesse già nominato un proprio difensore.
L'incolpato si era difeso rilevando che quanto accaduto non era dipeso dalla sua volontà, dal momento che la missiva era stata inviata da un collaboratore di studio, il quale, "sebbene correttamente formato e dotato di postazione di accesso al gestionale in uso nello studio, avrebbe erroneamente inviato le missive ai clienti piuttosto che ai loro difensori".
Secondo il CNF (che ha confermato la sanzione della censura già inflitta dal consiglio distrettuale), la responsabilità del professionista ai fini dell'addebito dell'infrazione disciplinare non necessita di cosiddetto dolo specifico e/o generico, essendo, invece, sufficiente la volontarietà̀ con cui l'atto è stato compiuto (oppure omesso), anche quando questa si manifesti in un mancato adempimento all'obbligo di controllo del comportamento dei collaboratori e/o dipendenti.
Il mancato controllo, si legge nella decisione, costituisce piena e consapevole manifestazione della volontà di porre in essere una sequenza causale che in astratto potrebbe dar vita ad effetti diversi da quelli voluti, che ricadono, sotto forma di volontarietà, sul soggetto che avrebbe dovuto vigilare e non lo ha fatto.
Nel caso di specie, ha concluso il collegio, è indubbio che gravasse sul professionista un dovere di controllo sulle attività delegate alla collaboratrice di studio e, tanto più, sugli atti che erano predisposti a suo nome ed in calce ai quali egli apponeva la propria firma.
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Paola Mastrantonio, avvocato; amante della libertà, della musica e dei libri. Pensiero autonomo è la mia parola d'ordine, indipendenza la sintesi del mio stile di vita. Laureata in giurisprudenza nel 1997, ho inizialmente intrapreso la strada dell'insegnamento, finché, nel 2003 ho deciso di iscrivermi all'albo degli avvocati. Mi occupo prevalentemente di diritto penale. Mi sono cimentata in numerose note a sentenza, pubblicate su riviste professionali e specializzate. In una sua poesia Neruda ha scritto che muore lentamente chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno. Io sono pienamente d'accordo con lui.