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CNF. Violazione del dovere di verità, divieto di decisioni a sorpresa e misura della sanzione

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Fonte: https://www.codicedeontologico-cnf.it

Con sentenza n.243del 14 novembre 2023 il Consiglio Nazionale Forense ha spiegato quando nell'ambito in un procedimento disciplinare si verifica la difformità tra contestato e pronunziato che realizza nelle ipotesi di "decisione a sorpresa"; nonché ha precisato a quale organo spetta il potere di procedere alla determinazione di una pena più mite della censura.

Analizziamo il caso sottoposto all'attenzione del Consiglio.

I fatti del procedimento

Tre avvocati sono stati sottoposti a procedimento penale nonché a procedimento disciplinare per aver in concorso con altri soggetti estranei all'Ordine, prestato assistenza legale in favore di clienti per sinistri stradali non verificatisi.

Nel corso del procedimento penale è emerso che gli incolpati appartenevano ad un'associazione criminale dedita alla perpetrazione di truffe in danno di società di assicurazione, mediante produzione di certificati medici ideologicamente falsi, per cui il Gip aveva emanato un'ordinanza cautelare per l'applicazione nei confronti dei tre incolpati della misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare la funzione di avvocato. La vicenda penale si è conclusa con l'applicazione della pena concordata ai sensi dell'art. 444 cpp di un anno di reclusione per ciascuno dei tre incolpati.

Nel contempo i professionisti sono stati sottoposti a procedimento disciplinare per violazione del dovere di verità (art. 50 del codice deontologico) e il Consiglio dell'Ordine ha sospeso dli incolpati cautelativamente dall'esercizio dell'attività di avvocato. Al termine del procedimento disciplinare, il CDD ha ritenuto pacifica 

  • sia l'avvenuta produzione di certificati medici ideologicamente falsi, in quanto redatti da medici che non avevano mai visitato i pazienti,
  • sia la responsabilità degli incolpati che ammettevano gli addebiti in sede penale.

Conseguentemente il CDD ha applicato a ciascuno di loro la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione forense per due mesi.

Avverso questa decisione ciascuno dei tre incolpati ha proposto impugnazione lamentando nel merito la mancata corrispondenza tra illecito contestato e decisione disciplinare, con conseguente violazione del divieto di decisioni a sorpresa, eccependo che

  • l'art.50 del codice deontologico fa riferimento a chi utilizza in giudizio prove o documenti di cui conosce la falsità, circostanza non verificatasi nel caso di specie riferendosi a trattazioni stragiudiziali;
  • la decisione del CDD ha errato nel non sottrarre nella determinazione della sanzione irrogata il periodo del presofferto in sede di applicazione di sospensione cautelare.

Pertanto i ricorrenti hanno chiesto la modifica della decisione impugnata mediante applicazione della sanzione meno afflittiva della censura ovvero la dichiarazione del diritto alla compensazione della sanzione disciplinare inflitta con la sospensione cautelare già sofferta.

La decisione del Consiglio Nazionale Forense

Il Consiglio Nazionale Forense ha ricordato che la difformità tra contestato e pronunziato si verifica nelle ipotesi di c.d. decisione a sorpresa, ossia quando la sussistenza della violazione deontologica venga riconosciuta per un fatto diverso da quello contestato; per cui la condotta oggetto della pronuncia non possa in alcun modo considerarsi rientrante nell'originaria contestazione.

Il Consiglio ha sottolineato come il principio di corrispondenza tra addebito contestato e decisione disciplinare è inderogabile, in quanto mira 

  • sia a garantire la pienezza e l'effettività del contraddittorio sul contenuto dell'accusa,
  • sia a consentire, a chi debba rispondere dei fatti contestatigli, il compiuto esercizio del diritto di difesa, costituzionalmente garantito (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 1 del 9 febbraio 2023, Corte di Cassazione, SS.UU, sentenza n. 27200 del 16 novembre 2017).

Il Consiglio ha ritenuto che nel caso di specie non sussista alcuna difformità tra l'addebito e la decisione disciplinare, in quanto la motivazione della decisione impugnata ha esplicitamente escluso l'applicazione dell'art. 50, invocato dai ricorrenti, ed ha ritenuto sussistente la responsabilità dell'incolpato in relazione a un illecito atipico, consistente nella violazione del dovere di lealtà.

Quanto alla pena, a parere del Consiglio, la motivazione della decisione disciplinare e la gravità dei fatti imputati agli incolpati impediscono di accogliere le richieste di applicazione di pena più mite avanzate dai ricorrenti. Tra l'altro la detrazione del periodo di sospensione già sofferto non è di competenza del CDD, ma spetta all'organo competente per l'esecuzione della sanzione medesima, dunque al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati ai sensi dell'art. 62, comma 3 L. n. 247/12 a norma del quale "Qualora sia stata irrogata la sanzione della sospensione a carico di un iscritto al quale, per il medesimo fatto, sia stata applicata la sospensione cautelare, il Consiglio dell'Ordine determina d'ufficio senza ritardo la durata residua della sanzione, detraendo il periodo di sospensione cautelare già scontato".

Alla luce di queste argomentazioni il Consiglio Nazionale Forense ha rigettato il ricorso. 

 

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