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Le clausole in materia di disinformazione

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Generalmente non hanno carattere vessatorio, ove sussista un legittimo contemperamento tra i diritti costituzionali tutelati, le clausole contrattuali traverso le quali social network, come ad esempio Facebook, prevedono la sospensione degli account o la rimozione di vari contenuti. 

Inoltre, entro i limiti, definiti come standard della community, citati nella regolamentazione contrattuale di varie piattaforme online, si può giustificare la rimozione di contenuti pubblicati dai singoli utenti.  Le piattaforme forniscono informazioni e dati iniziali esaustivi, come il valore degli introiti pubblicitari che si è evitato arrivasse agli attori della disinformazione; il numero o il valore degli annunci politici accettati ed etichettati o respinti; i casi di comportamenti manipolatori rilevati (ossia creazione e utilizzo di account fasulli) e le informazioni sull'impatto della verifica dei fatti, anche a livello degli Stati membri.

Il punto nodale riguarda l’inquadramento del diritto dell’hosting provider, ossia di intervenire sopra l’account del singolo utente inibendogli l’accesso ove venissero ritenute violate le relative condizioni contrattuali e dunque anche le cosidddetti standard della community, tra i quali anche il contrasto alle campagne di disinformazione.  

Vi sono state varie sentenze, come emerge la motivazione del provvedimento, in cui si tratta dell’ipotetica vessatorietá delle suddette clausole, ai sensi del codice del consumo e la legittimità della condotta dell’hosting provider sotto il profilo contrattuale.

Altro richiamo potrebbe essere quello si principi generali del codice civile e precisamente della disciplina dell’eccezione di inadempimento, e dunque, l’esclusione della possibilità di inquadrare  la fattispecie tra quelle tipizzate dal codice del consumo. 

Tale precisazione non rende inverosimile una possibile responsabilità dell’hosting provider, che avrebbe un potere immediato di intervento, quanto meno in presenza di contenuti illeciti e quando essi stessi siano lesivi dell’onore e della reputazione di terzi soggetti, tenuto conto anche delle responsabilità sul piano risarcitorio, dicendo ti da una posizione di inerzia. 

​La mancanza di una precisa disposizione e regolamentazione da parte del legislatore ha generato delle incongruità. A livello europeo il Digital Service Act, ossia codici di condotta adottati dalle piattaforme operanti su internet e la sensibilizzazione per quanto riguarda i rischi connessi alle campagne di disinformazione, hanno portati a diversi incentivi sul piano europeo e sicuramente a una evoluzione normativa e giurisprudenziale. 

Importante ribadire anche la possibilità di un’analisi di merito tra il contenuto degli standard e quelli che sono i valori costituzionali con specifico riferimento alla libertà di manifestazione del pensiero sancita dall’art. 21 della Costituzione. Considerando l'espressione ‘’ogni mezzo di diffusione’’in linea astratta, al mezzo internet si potrebbero riferire anche le ipotetiche limitazioni contrattuali connesse alla libertà di impresa, pur tutelata dall’art. 42 della Costituzione, dell’hosting provider. 

Le indicazioni programmatiche provenienti dall’UE propendono verso un controllo attivo da parte delle grandi piattaforme online rispetto ai contenuti non veritieri o illeciti presenti in rete. 


 

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