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Cause “alimentari da mantenimento”, Cassazione: “Non opera la sospensione Covid 19”

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 Con l'ordinanza n. 7760 dello scorso 10 marzo, la VI sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sull'obbligo alimentare di una nonna verso il nipote, nel dichiarare inammissibile il ricorso in Cassazione tardivo, proposto oltre il termine lungo di impugnazione ex art. 327 c.p.c., ha ricordato che la sospensione dei termini processuali di cui alla disciplina sull'emergenza da COVID 19 non opera né per le cause relative agli alimenti, ove è necessario far fronte alle più elementari esigenze di vita del beneficiato, né per le cause relative ad una obbligazione alimentare, ove la prestazione di mantenimento consente al beneficiato di godere di quanto necessario alla conservazione del pregresso tenore di vita.

La Cassazione ha precisato che "per entrambe le ipotesi, non opera la sospensione dei termini processuali di cui alla disciplina sull'emergenza da COVID 19 in quanto la trattazione in sede giurisdizionale destinata ad operare anche durante la sospensione dei termini processuali, pur in un periodo segnato nella necessità del contenimento del rischio pandemico, è frutto di una discrezionalità legislativa che, esercitata nel contemperamento degli interessi in gioco, non si segnala come irragionevole".

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio con l'emissione di un provvedimento con cui il Presidente f.f. del tribunale di Reggio Calabria condannava la nonna materna di una minore a corrispondere la somma di Euro 100,00 mensili per il mantenimento della bambina, e, ancora, i nonni paterni della piccola al pagamento della somma di Euro 200,00 mensili, non avendo mai il padre provveduto al mantenimento della figlia, nell'impossibilità della madre di far fronte al proprio obbligo.

 La Corte d'Appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza del locale tribunale ed in accoglimento dell'opposizione proposta ex art. 316 bis, comma 4, dai nonni, disponeva la revoca del provvedimento, ritenendo che non si fosse raggiunta la prova dell'inadempimento paterno all'obbligo di mantenimento della figlia.

La mamma ricorreva in Cassazione oltre il termine lungo per proporre l'impugnativa, ritenendo che detto termine fosse rimasto sospeso durante il periodo emergenziale per Covid 19 di cui all'art. 83 del d.l. 18/2020.

La nonna, con controricorso, eccepiva la tardività del ricorso in Cassazione, rilevando come la normativa richiamata non trovasse applicazione per i giudizi relativi agli alimenti.

La Cassazione condivide la tesi della controricorrente circa la tardività del ricorso.

In punto di diritto la Corte ricorda che, con l'art. 83 comma 3, lett. a) del d.l. 18/2020, si è disposto che la sospensione dei termini prevista alla medesima norma, comma 1, per la proposizione delle impugnazioni e, in genere, di tutti i termini procedurali, non opera, tra l'altro, per le "cause relative ad alimenti o ad obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità".

 La sospensione, quindi, non opera:

a) per le cause relative agli alimenti, da ascrivere all'art. 433 c.c. (le cosiddette cause "alimentari pure"), nel caso di mancanza di mezzi di sostentamento e per far fronte alle più elementari esigenze di vita del beneficiato;

b) per le cause relative ad una obbligazione alimentare derivante da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità (le cosiddette cause "alimentari da mantenimento") , ove la prestazione di mantenimento consente al beneficiato di godere di quanto necessario alla conservazione del pregresso tenore di vita corrispondente alla posizione economico-sociale dei coniugi e, nel rapporto con i figli, dei genitori.

Per entrambe le ipotesi, non opera la sospensione dei termini processuali di cui alla disciplina sull'emergenza da COVID 19 in quanto la trattazione in sede giurisdizionale destinata ad operare anche durante la sospensione dei termini processuali, pur in un periodo segnato nella necessità del contenimento del rischio pandemico, è frutto di una discrezionalità legislativa che, esercitata nel contemperamento degli interessi in gioco, non si segnala come irragionevole.

Con specifico riferimento al caso di specie, la sentenza della Corte d'appello di Reggio Calabria, non notificata, era stata depositata il 16 dicembre 2019 ed il termine di sei mesi, da valere ex art. 327 c.p.c., per proporre impugnativa era scaduto il 16 giugno 2020 là dove il ricorso per cassazione era stato consegnato per la notifica solo il 17 settembre 2020 e quindi dopo tre mesi dalla scadenza del termine semestrale, con consequenziale inammissibilità del ricorso per cassazione perché intervenuto dopo il passaggio in cosa giudicata della sentenza della corte reggina.

In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso con compensazione delle spese per la novità della questione trattata.

 

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