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Cambio di destinazione uso: occorre il permesso di costruire

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Con la sentenza n. 109 dello scorso 8 gennaio, la sezione II bis del Tar del Lazio, ha confermato la legittimità di un provvedimento con cui veniva irrogata la sanzione demolitoria per un cambio di destinazione d'uso urbanisticamente rilevate, essendo stata modificata, in assenza di un valido titolo edilizio, la destinazione a residenza in destinazione a studio medico, con conseguente variazione della categoria funzionale di riferimento.

Si è quindi precisato che le modifiche non legittimate delle destinazioni incidono negativamente sull'organizzazione e sull'assetto prefigurato, sicché solo il cambio di destinazione d'uso fra categorie edilizie omogenee non necessita di permesso di costruire (in quanto non incide sul carico urbanistico), mentre, allorché lo stesso intervenga tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, si integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, con conseguente assoggettamento al regime del permesso di costruire, e ciò, indipendentemente dall'esecuzione di opere.

Il caso sottoposto all'attenzione del Tar prende avvio dall'adozione di un provvedimento con cui veniva irrogata la sanzione demolitoria in relazione ad una modifica della destinazione d'uso, da abitazione (A3) a studio medico (A10), in assenza del titolo edilizio. 

Ricorrendo al Tar, il proprietario dell'immobile chiedeva l'annullamento di tale provvedimento, deducendo la violazione dell'art. 34, comma 2 del d.P.R. n. 380 del 2001, non avendo l'amministrazione considerato il pregiudizio che dalla demolizione poteva derivare alla parte di opere legittimamente eseguite, con conseguente possibilità di irrogazione della sola sanzione pecuniaria.

In particolare, censurava la qualificazione dell'intervento operata dall'amministrazione, venendo in rilievo un cambio di destinazione d'uso senza l'esecuzione di lavori, soggetto al regime della s.c.i.a. e, dunque, sanzionabile, al più, con la sola irrogazione della sanzione pecuniaria.

Il Tar non condivide le difese mosse dalla ricorrente.

Il Collegio Amministrativo premette che, attraverso gli strumenti di pianificazione, generali ed attuativi, i Comuni individuano la destinazione d'uso dei suoli e degli edifici, affinché alle varie e diverse destinazioni vengano assegnate determinate qualità e quantità di servizi.

Alla luce di tale funzione di coordinamento, le modifiche non legittimate delle destinazioni incidono negativamente sull'organizzazione e sull'assetto prefigurato, sicché solo il cambio di destinazione d'uso fra categorie edilizie omogenee non necessita di permesso di costruire (in quanto non incide sul carico urbanistico), mentre, allorché lo stesso intervenga tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, si integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, con conseguente assoggettamento al regime del permesso di costruire, e ciò, indipendentemente dall'esecuzione di opere. 

Ne deriva, quindi, che il mutamento di destinazione d'uso, anche senza lavori edilizi, non può costituire una operazione "neutra", da definirsi esclusivamente attraverso il pagamento di una sanzione pecuniaria ove involga categorie funzionali non omogenee: infatti, il legislatore, con la semplificazione delle attività edilizie, non si è spinto al punto di rendere tra loro omogenee tutte le categorie funzionali, le quali, al contrario, rimangono tra loro non assimilabili, con la conseguenza che il passaggio dall'una all'altra costituisce mutamento di destinazione d'uso urbanisticamente rilevante, non assentibile mediante s.c.i.a..

Con specifico riferimento al caso di specie, il Collegio rileva come non vengano in considerazione mere difformità parziali bensì un mutamento della destinazione d'uso urbanisticamente rilevante, con il passaggio tra categorie tra loro non assimilabili. Alla luce di tanto, non assume rilievo alcuno la circostanza che la destinazione a studio medico sia "astrattamente" compatibile con la zona d'intervento giacché l'effettivo insediamento, per la sua valenza e i suoi effetti "urbanistici", richiede il necessario filtro del maggior titolo abilitativo, con verifica degli standard e quantificazione degli oneri concessori.

Pertanto, correttamente l'amministrazione ha ingiunto, oltre alla pena pecuniaria, anche la demolizione, così facendo corretta applicazione della legge regionale che, nel caso di cambi di destinazione d'uso da una categoria generale ad un'altra effettuati in assenza di permesso di costruire, ingiunge al responsabile dell'abuso, di provvedere in un congruo termine, comunque non superiore a centoventi giorni, alla demolizione dell'opera e al ripristino dello stato dei luoghi.

Alla luce di tanto, il Tar rigetta il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

 

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