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Avvocato, SC: “Se accetta una causa persa, deve attivarsi per giungere ad una soluzione transattiva”

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Con l'ordinanza n. 21982 dello scorso 3 settembre, la III sezione civile della Corte di Cassazione ha escluso qualsiasi profilo di responsabilità professionale di un legale che aveva accettato un incarico con scarse possibilità di vittoria per i propri assistiti, attivandosi, nelle more del giudizio, ad addivenire ad una bonaria risoluzione della controversia.

Si è difatti specificato che nel caso in cui il legale accetti una causa per la quale preveda già dall'inizio la soccombenza dei suoi assistiti, non può disinteressarsene del tutto, senza almeno attivarsi per trovare una soluzione transattiva, essendo tale comportamento comunque doveroso, allo scopo di non esporre il cliente all'incremento delle spese iniziali.

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dalla stipula di un contratto professionale tra un legale ed alcune società che – ricevuta una offerta di esercitare l'opzione di acquisto degli immobili da esse condotti in locazione – si rivolgevano al professionista affinché valutasse l'opportunità di intraprendere un'azione legale per conseguire una riduzione del prezzo di opzione in considerazione delle cattive condizioni dei locali.

Ricevuto il parere che una causa avrebbe avuto buone probabilità di successo, le società agivano contro i proprietari degli immobili ma successivamente, sempre su consiglio del professionista, rinunciavano agli atti e formulavano una proposta transattiva per non perdere l'opportunità di esercitare l'opzione di acquisto. La transazione non veniva accettata dai proprietari sicché le società conduttrici, oltre a pagare il proprio legale, venivano condannate a corrispondere le spese di lite sopportate da ciascun proprietario. 

Le società agivano in giudizio contro l'avvocato chiedendone la condanna al risarcimento dei danni derivanti dall'espletamento del mandato professionale conferitogli: in particolare i clienti si dolevano per non essere state dissuase dal legale dall'intraprendere un costoso giudizio per poi essere sollecitate a rinunciare al giudizio e ad accollarsi non solo le spese della sua parcella, ma anche le spese di lite delle controparti, che non avevano aderito alla loro proposta transattiva.

Sia il Tribunale di Roma che la Corte di Appello di Roma rigettavano la domanda, negando qualsiasi profilo di responsabilità professionale del legale, in quanto non erano emersi aspetti tali da far ritenere che l'avvocato avesse intrapreso un'azione prima facie inammissibile e/o infondata.

La Cassazione, adita dai clienti, conferma la decisione impugnata, cogliendo l'occasione per specificare alcuni aspetti relativi alla responsabilità professionale.

La Corte specifica che l'obbligo di dissuasione da parte del difensore sussiste nel caso in cui la domanda risulti chiaramente inammissibile per assenza dei presupposti previsti dalla legge o completamente infondata, in quanto il professionista ha l'obbligo di astenersi dalle cause perse o infondate; nel caso in cui il legale accetti una causa per la quale preveda già dall'inizio la soccombenza dei suoi assistiti, non può disinteressarsene del tutto, senza almeno attivarsi per trovare una soluzione transattiva, essendo tale comportamento comunque doveroso, allo scopo di non esporre il cliente all'incremento delle spese iniziali. 

La sentenza in commento specifica, infatti, come preciso obbligo del professionista è quello di offrire tutti gli elementi di valutazione necessari ed i suggerimenti opportuni allo scopo di permettere ai clienti di adottare una consapevole decisione, a seguito di un ponderato apprezzamento dei rischi e dei vantaggi insiti nella proposizione dell'azione.

Per invocare la responsabilità dell'avvocato è quindi necessario dimostrare che, in applicazione del parametro della diligenza professionale, nell'adempiere siffatta obbligazione, egli abbia omesso di prospettare loro tutte le questioni di diritto e di fatto atte ad impedire l'utile esperimento dell'azione a causa dell'ignoranza di istituti giuridici elementari e fondamentali ovvero di incuria ed imperizia, insuscettibili di giustificazione; una volta avviato il processo, la responsabilità del legale è, invece, ravvisabile solo in caso di sua imperizia per aver violato o ignorato precise disposizioni di legge ovvero errato nel risolvere questioni giuridiche prive di margine di opinabilità.

Ne deriva che la scelta di una determinata strategia processuale può essere foriera di responsabilità solo se la sua inadeguatezza al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente sia valutata (e motivata) dal giudice di merito ex ante, restando comunque esclusa in caso di questioni rispetto alle quali le soluzioni dottrinali e/o giurisprudenziali presentino margini di opinabilità - in astratto o con riferimento al caso concreto - tali da rendere giuridicamente plausibili le scelte difensive compiute dal legale.

Compiute queste precisazioni, la Cassazione rigetta il ricorso. 

 

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