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Con la pronuncia n. 16919 depositata il 27 giugno 2018, le sezioni civili della Corte di Cassazione si sono pronunciate sul risarcimento del danno spettante agli eredi del paziente deceduto per colpa medica, statuendo che sono risarcibili le conseguenze derivanti da quell'evento di danno, ontologicamente differente dal danno da perdita di chance, consistente nella significativa riduzione della durata della vita. Si è, così, specificato che determina l'esistenza di un danno risarcibile alla persona l'omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, ove risulti che, per effetto dell'omissione , sia andata perduta dal paziente la possibilità di sopravvivenza per alcune settimana o alcuni mesi, o comunque per un periodo limitato, in più rispetto al periodo temporale effettivamente vissuto.
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende spunto dal ricorso degli eredi di un paziente che, dopo essersi recato al pronto soccorso per violenti dolori retrosternali ed essere stato rinviato a casa con la diagnosi di semplice nevralgia, decedeva il giorno seguente a causa di un infarto acuto.
Le richieste risarcitorie avanzate dalla famiglia della vittima erano state accolte in primo grado, ma la sentenza veniva riformata in grado di appello.
La Corte di Appello di Cagliari – pur riconoscendo l'esistenza della negligenza e dell'imperizia del sanitario per non aver disposto l'immediato ricovero del paziente e per non aver posto in essere tutti gli esami strumentali così come prescritti dai protocolli – ha escluso, sulla base delle risultanze della CTU, la sussistenza di un nesso di causalità tra la condotta colposa del medico e l'evento morte: la consulenza tecnica espletava aveva, infatti, accertato che, anche ove la patologia fosse stata prontamente riconosciuta e fossero stati attuati in regime di ricovero tutti i migliori trattamenti disponibili, nondimeno la probabilità di una morte a pochi giorni dal ricovero si sarebbe verificata nel 70-80% dei casi; si aggiungeva, inoltre, che la mancata omissione del sanitario avrebbe determinato solo un limitato periodo di sopravvivenza, che in termini di altissima probabilità statistica non sarebbe stato superiore a 3-12 mesi.
In virtù di tanto la Corte sarda riteneva di "non poter attribuire rilievo, sotto il profilo risarcitorio, neanche ad eventuali differenze nella sopravvivenza quantificabili in periodi brevissimi".
La difesa degli eredi della vittima, ricorrendo in Cassazione, rilevava che ingiustamente la Corte di merito – dopo aver preso atto, dalle risultanze della consulenza, che una corretta e celere diagnosi avrebbe determinato un prolungamento di vita fino a 3-12 mesi - aveva ritenuto di non risarcire siffatto danno, consistente – secondo i ricorrenti – nella perdita di chance.
La Cassazione ritiene che il motivo sia fondato, ma compie importanti precisazioni sul punto.
Gli Ermellini – dopo aver ribadito che la perdita di chance rileva non come danno conseguenza, ma come danno evento – specificano in cosa consiste la perdita di chance: il concetto di chance postula una incertezza del risultato sperato, l'incertezza di qualcosa che il soggetto non ha mai avuto e, quindi, di una possibilità protesa verso il futuro; del tutto diverso è, invece, discorrere del mancato conseguimento di qualcosa che già si possedeva e che non sarebbe venuto meno senza la condotta del sanitario.
In tale seconda ipotesi, in cui rileva non l'incertezza del risultato ma proprio il mancato raggiungimento del risultato stesso, non è lecito discorrere di una chance perduta, ma di un altro e diverso danno: "qualora l'evento di danno sia costituito non da una possibilità - sinonimo di incertezza del risultato sperato - ma dal (mancato) risultato stesso (nel caso di specie, la perdita anticipata della vita), non è lecito discorrere di chance perduta, bensì di altro e diverso evento di danno, senza che l'equivoco lessicale costituito, in tal caso, dalla sua ricostruzione in termini di "possibilità" possa indurre a conclusioni diverse.".
In conclusione, la Corte ribadisce che se la condotta medica colpevole ha cagionato non la morte del paziente (che si sarebbe comunque verificata) bensì una significativa riduzione della durata della sua vita e una peggiore qualità della stessa per tutta la sua minor durata, in tal caso il sanitario sarà chiamato a rispondere dell'evento di danno costituito dalla minor durata della vita e dalla sua peggior qualità, senza che tale danno integri una fattispecie di perdita di chance.
Sulla scorta di tale principio, accertato che nel caso di specie l'omissione della diagnosi del processo morboso terminale aveva cagionato al paziente l'impossibilità di sopravvivere per alcune settimane o mesi, con la sentenza in commento i Giudici chiariscono che è tale tipo di danno che va risarcito.
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