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Con la sentenza n. 34742 dello scorso 7 dicembre, la IV sezione penale della Corte di Cassazione, ha escluso che il pagamento effettuato da una imputata, in adempimento di una provvisionale disposta dal giudice, potesse integrare gli estremi della causa di estinzione del reato di cui all'art. 162-ter c.p..
Si è difatti ribadito che "la causa di estinzione del reato di cui all'art. 162-ter c.p. ha elevato una condotta - in precedenza rilevante quale mera circostanza attenuante ex art. 62, n. 6, cod. pen. - a vera e propria causa di non punibilità, in quanto riferita a comportamenti spontanei e non coartati e indotti da provvedimenti giurisdizionali e, soprattutto, ad attribuzioni riparatorie effettivamente risarcitorie, non sottoposte a riserve e condizioni, e quindi definitivamente assegnate alla sfera economica e giuridica del soggetto leso".
Il caso sottoposto all'esame della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di una dottoressa, imputata del reato di cui all'art. 590 c.p. perché – dopo aver eseguito su un paziente un intervento chirurgico di sostituzione del generatore del pacemaker – dimenticava di rimuovere dalla tasca sottocutanea una garza, così cagionando nell'uomo lesioni personali gravi protrattesi per oltre 90 giorni.
Per tali fatti, il Tribunale di Bologna condannava il medico sia in sede penale che civile.
Durante il processo di appello l'imputata provvedeva a versare alle parti civili le somme alle stesse riconosciute a titolo di provvisionale dal primo giudice, oltre a formalizzare un'offerta reale in favore del paziente di ulteriori 3.000 euro.
Tali importi, tuttavia, venivano stati ritenuti insufficienti dalla Corte di Appello di Bologna per ritenere sussistente la causa di estinzione del reato di cui all' art. 162-ter c.p. invocata dalla difesa dell'imputata.
Avverso la pronuncia di condanna, la dottoressa ricorreva in Cassazione, eccependo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla causa di estinzione del reato di cui all'art. 162-ter c.p..
A tal fine deduceva come, contrariamente a quanto affermato nell'impugnata sentenza, aveva risarcito il danno cagionato alla persona offesa tempestivamente ed integralmente, versando non solo quanto previsto nella provvisionale, ma anche una cifra aggiuntiva.
Secondo la difesa della dottoressa, l'importo complessivo corrisposto doveva ritenersi satisfattivo di qualsiasi danno, posto che – a seguito di un accertamento tecnico preventivo espletato nel giudizio civile – era emerso che il paziente aveva subito un danno biologico permanente qualificabile quale micropermanente ai sensi dell'art. 139 del codice delle assicurazioni.
In seconda istanza la ricorrente si doleva per la mancata assunzione di una perizia, quale prova decisiva che avrebbe definitivamente chiarito le cause di insorgenza dell'infezione.
La Cassazione non condivide la doglianza della ricorrente.
La Corte ricorda come la causa di estinzione del reato di cui all'art. 162-ter c.p. ha elevato una condotta - in precedenza rilevante quale mera circostanza attenuante ex art. 62, n. 6, cod. pen. - a vera e propria causa di non punibilità, in quanto riferita a comportamenti spontanei e non coartati e indotti da provvedimenti giurisdizionali e, soprattutto, ad attribuzioni riparatorie effettivamente risarcitorie, non sottoposte a riserve e condizioni, e quindi definitivamente assegnate alla sfera economica e giuridica del soggetto leso.
Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la ricorrente voglia sindacare l'adeguatezza del quantum risarcitorio offerto, ritenendo di potersi basare sui dati rinvenienti da un accertamento tecnico preventivo effettuato in un procedimento estraneo a quello penale: si tratta, pertanto, di un aspetto manifestamente inammissibile, implicante una valutazione di merito non consentita in sede di legittimità, vieppiù perché la sentenza impugnata ha ritenuto insufficiente la predetta somma, sulla base di argomentazioni (quali età della paziente, protrarsi della sua malattia, plurimi ricoveri) non manifestamente illogiche.
Ciò premesso, la Corte ribadisce come l'imputata voglia avvalersi della causa estintiva senza considerare che il pagamento è stato effettuato a seguito della condanna provvisionale del primo giudice, così rimanendo privo il requisito della spontaneità richiesto dalla disposizione di legge.
Inoltre, la ricorrente, dolendosi per il mancato espletamento della perizia, ha di fatto contestato il merito della condanna nei suoi confronti, ritenendo insussistente nesso causale fra la condotta a lei addebitata e le lesioni; in tal modo, l'offerto risarcimento sarebbe sottoposto implicitamente alla riserva di ripetizione derivante dalla eventuale assoluzione, il che per definizione ne esclude la spontaneità e definitività che, sole, potrebbero giustificare l'applicazione dell'istituto di cui all'art. 162-ter c.p..
In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili.
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Esercito la professione forense nel Foro di Bari, occupandomi prevalentemente di diritto civile ( responsabilità contrattuale e extracontrattuale, responsabilità professionale e diritto dei consumatori); fornisco consulenza specialistica anche in materia penale, con applicazione nelle strategie difensive della formula BARD.