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Avvocato distrattario: quando gli compete il rimborso dell’imposta di registro versata?

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 Con l'ordinanza n. 19228 dello scorso 15 giugno, la VI sezione civile della Corte di Cassazione – pronunciandosi in materia di spese di giustizia – ha negato ad un avvocato distrattario, che aveva erroneamente pagato l'imposta di registro sulle sentenze ottenute dal giudice di pace per un importo inferiore a 1033, di ottenere la restituzione della quota parte versata a titolo di coobbligato solidale.

Si è difatti precisato che "le sentenze di valore inferiore ad Euro 1.033 non sono soggette ad imposta di registro, a nulla rilevando che esse siano state pronunciate in primo grado o in appello".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dalla domanda presentata da un legale distrattario il quale - dopo aver ottenuto, per conto dei suoi assistiti, diversi decreti ingiuntivi nei confronti di una società – riteneva, per errore, di essere obbligato in proprio al pagamento delle spese di registrazione delle sentenze ed a tanto provvedeva di tasca propria.

Avvedutosi dell'errore, il legale chiedeva alla società debitrice la rifusione di un terzo di quanto pagato, sul presupposto che le spese di registrazione, gravanti in solido su tutte le parti del giudizio, nel lato interno dell'obbligazione dovessero ripartirsi in parti uguali tra le (tre) parti di ogni giudizio.

La società debitrice proponeva opposizione, invocando il difetto di legittimazione dell'attore, l'improcedibilità della domanda, l'inesistenza del credito.

 Il Giudice di pace accoglieva l'opposizione ritenendo che le sentenze pronunciate all'esito di giudizi di valore non eccedente Euro 1.033 non fossero soggette a spese di registrazione, le quali pertanto erano state dall'avvocato erroneamente versate, sicché questi non poteva pretenderne la restituzione.

La decisione veniva confermata dal Tribunale di Vibo Valentia: il giudice del grado di appello rilevava come l'avvocato, benché distrattario delle spese, non era parte del giudizio (vieppiù perché la causa non controverteva sulla distrazione stessa), sicché lo stesso era carente di legittimazione ad agire rispetto alla domanda di restituzione dell'imposta di registro.

Il legale proponeva, quindi, ricorso in Cassazione, deducendo violazione dell'art. 2036 c.c., assumendo che egli, pagando l'imposta di registro senza esservi tenuto, aveva pagato il debito altrui, e quindi aveva eseguito un indebito soggettivo.

Deduceva, quindi, che, per effetto del pagamento, era subentrato ex art. 2036 c.c., nei diritti del creditore (i suoi assistiti) verso l'effettivo debitore inadempiente, cioè la società destinataria dei vari decreti ingiuntivi, tenuta alla rifusione della quota di imposta su essa gravante.

 La Cassazione non condivide le censure sollevate, sebbene ritenga che la motivazione della decisione impugnata vada corretta.

La Corte ricorda, infatti, che le sentenze di valore inferiore ad Euro 1.033 non sono soggette ad imposta di registro, a nulla rilevando che esse siano state pronunciate in primo grado o in appello.

Con specifico riferimento al caso di specie, la Cassazione rileva come, trattandosi di sentenze di valore inferiore ad Euro 1.033, il presupposto d'imposta fosse insussistente e, conseguentemente, il legale, avendo pagato un indebito, non poteva pretenderne la restituzione pro quota da parte di pretesi coobbligati solidali: difatti, mancando il presupposto dell'imposta, mancava per ciò solo la solidarietà e, con essa, il diritto di regresso ex art. 1299 c.c..

Conseguentemente, correttamente il Tribunale aveva ritenuto che l'avvocato non "avesse titolo" per pretendere il pagamento richiesto.

Alla luce di tanto, la Corte rigetta il ricorso. 

 

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