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La provocazione e i limiti di compatibilità tra linguaggio utilizzato nell'atto difensivo e esigenze della dialettica processuale
L'avvocato svolge un ruolo fondamentale che è quello di garantire al proprio cliente il diritto alla difesa attraverso gli strumenti processuali di cui dispone. L'esigenza di difesa del proprio assistito, in ogni caso, non deve condurre il professionista a porre in essere comportamenti che contrastino con il decoro e la dignità della professione forense. E ciò anche quando l'avvocato si trovi a dover affrontare una causa in cui lo stato di tensione tra le parti coinvolte è forte. In tali situazione, infatti, il professioniste deve sempre mantenere un contegno adeguato alla civile convivenza. Per tale motivo, l'avvocato deve utilizzare negli atti difensivi un linguaggio consono alle esigenze della dialettica processuale, per evitare di adottare un comportamento rilevante dal punto di vista disciplinare. Tale limite di compatibilità va rispettato anche in caso di ritorsione, provocazione o reciprocità delle offese [1].
Ma quando il linguaggio non appare consono alle esigenze della dialettica processuale?
«Il limite di compatibilità delle esternazioni verbali o verbalizzate e/o dedotte nell'atto difensivo dal difensore con le esigenze della dialettica processuale e dell'adempimento del mandato professionale, oltre il quale si prefigura la violazione dell'art. 52 codice deontologico forense [...], va individuato nella intangibilità della persona del contraddittore, nel senso che quando la disputa abbia un contenuto oggettivo e riguardi le questioni processuali dedotte e le opposte tesi dibattute, può anche ammettersi crudezza di linguaggio e asperità dei toni» (CNF, n. 180/2019).
Secondo la giurisprudenza del Consiglio nazionale forense (CNF), per comprendere quando è superato il su citato limite di compatibilità occorre:
In buona sostanza, si ritiene che:
Note
[1] Art. 52 Codice deontologico forense:
«1. L'avvocato deve evitare espressioni offensive o sconvenienti negli scritti in giudizio e nell'esercizio dell'attività professionale nei confronti di colleghi, magistrati, controparti o terzi. 2. La ritorsione o la provocazione o la reciprocità delle offese non escludono la rilevanza disciplinare della condotta. 3. La violazione del divieto di cui al comma 1 comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della censura».
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Il mio nome è Rosalba Sblendorio. Sono una persona estroversa e mi piace il contatto con la gente. Amo leggere, ascoltare musica e viaggiare alla scoperta delle bellezze del nostro territorio. Adoro rigenerarmi, immergendomi nella natura e per questo, quando posso, partecipo ad escursioni per principianti. Ho esercitato la professione da avvocato nel foro di Bari. Per molti anni ho collaborato con uno Studio legale internazionale, specializzato in diritto industriale, presso il cui Ufficio di Bari sono stata responsabile del dipartimento civile e commerciale. Mi sono occupata prevalentemente di diritto civile, diritto commerciale e diritto della proprietà intellettuale.