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Avvocati: funzione sociale, doveri additivi rispetto al comune cittadino e rapporti con i magistrati

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L'avvocato, la dignità e il decoro anche nell'ambito del rapporto con i magistrati

L'avvocato, nell'ambito dell'esercizio della sua attività difensiva, deve agire per esporre le ragioni del suo assistito con ogni rigore, utilizzando gli strumenti processuali di cui dispone, anche nella fase di impugnazione, che è atto diretto a criticare anche severamente una precedente decisione giudiziale. «Tuttavia, il diritto della difesa incontra un limite insuperabile nella civile convivenza, nel diritto della controparte o del giudice a non vedersi offeso o ingiuriato: soggetti nei confronti dei quali non devono essere utilizzate espressioni dirette consapevolmente a insinuare la esistenza di condotte illecite o la violazione del fondamentale dovere di imparzialità» (CNF, n. 113/2018). E ciò in considerazione del fatto che «l'avvocato ha il dovere di comportarsi in ogni situazione con la dignità e il decoro imposti dalla funzione che svolge, la quale comporta doveri additivi rispetto al comune cittadino» (CNF.n. 113/2018). Questo dovere va rispettato sempre, anche nell'ambito dei rapporti con i magistrati [1]. Con l'ovvia conseguenza che l'avvocato non può adottare un comportamento irriguardoso, irrispettoso e aggressivo nei confronti del Giudice, pronunciando anche frasi di contenuto minaccioso e alterando il normale svolgimento dell'udienza (CNF, n. 138/2018).

Gli avvocati e il rapporto con i magistrati nella prassi

Si ritiene che:

  • non è corretto deontologicamente il comportamento dell'avvocato che affida «a una campagna mediatica contestazioni circa l'operato di un giudice criticandone le doti professionali e censurandone la caratura etica nonché la capacità di giudizio, con un'animosità polemica venata di inutile sarcasmo e volgare ironia sui difetti fisici altrui» (CNF, n. 84/2017, in https://www.codicedeontologico-cnf.it/?p=36168);
  • è rilevante dal punto di vista disciplinare la condotta dell'avvocato consistente nel discutere del giudizio, anche quando è finito, con il giudice designato per la causa, in assenza del legale di controparte. «La ratio del divieto è quello di garantire quanto più possibile il distacco e l'imparzialità con gli organi giudicanti»(CNF, 56/2019, in https://www.codicedeontologico-cnf.it/?p=70702); 
  • «il ritardo del Giudice nell'emissione del provvedimento richiestogli non legittima il difensore a minacciare richieste risarcitorie nei suoi confronti (specie se avanzate in pendenza del giudizio stesso al fine di precostituirsi una ragione di ricusazione), anche in considerazione dei presupposti nonché della legittimazione attiva e passiva che regolano l'azione esperibile nei confronti del Magistrato per asseriti danni derivanti da comportamenti dolosi o gravemente colposi nell'esercizio delle sue funzioni»(CNF, n. 256/2016, in https://www.codicedeontologico-cnf.it/?p=35154);
  • l'avvocato non è legittimato a usare espressioni sconvenienti e offensive in sede di impugnazione al solo fine di contestare l'asserita pacchiana erroneità di un provvedimento giurisdizionale. L'uso di dette espressioni violerebbe il dovere deontologico che l'avvocato deve rispettare, avente ad oggetto il porre in essere un comportamento sempre decoroso e dignitoso anche nei rapporti con i magistrati (CNF, n. 56/2019, in https://www.codicedeontologico-cnf.it/?p=70704). In buona sostanza, «il diritto di critica nei confronti di qualsiasi provvedimento giudiziario mai può travalicare i limiti del rispetto della funzione giudicante, riconosciuta dall'ordinamento con norme di rango costituzionale nell'interesse pubblico, con pari dignità rispetto alla funzione della difesa» (CNF, n. 113/2018, in https://www.codicedeontologico-cnf.it/?p=68796);
  • l'avvocato, ove è un componente del Consiglio, non può assumere incarichi giudiziari conferiti dai magistrati del circondario, quali quelli da ausiliari del giudice (curatore fallimentare, curatore dell'eredità giacente, delegato alle vendite nelle procedure esecutive immobiliari, custode giudiziale) (art. 28, comma 10, Legge n. 247/2012). «Restano [...] esclusi dall'incompatibilità gli incarichi che si sostanziano in oneri assegnati all'avvocato per lo svolgimento di compiti nei quali è prevalente la funzione sociale dell'attività (amministratore di sostegno, tutore di minori stranieri non accompagnati, ecc.)» (CNF, n. 24/2017, inhttps://www.codicedeontologico-cnf.it/?p=35698);
  • «non sussiste rapporto di specialità fra gli artt. 52 [2] e 53 del codice deontologico, giacché il secondo delimita l'ambito etico nel quale devono estrinsecarsi i rapporti fra avvocati e magistrati, richiamando, al riguardo, i principi generali della pari dignità e del reciproco rispetto, mentre il primo individua una specifica violazione dei canoni comportamentali anzidetti, che potrebbe essere commessa per il tramite della scrittura, sia in giudizio che al di fuori del medesimo, sicché, in presenza dei necessari presupposti di fatto, l'utilizzo delle "espressioni sconvenienti ed offensive negli scritti in giudizio" ben può comportare comportare la violazione di entrambe le norme»(CNF, n. 56/2019, inhttps://www.codicedeontologico-cnf.it/?p=70701).


Note

[1[ Art. 53 Codice deontologico forense: «1. I rapporti con i magistrati devono essere improntati a dignità e a reciproco rispetto. 2. L'avvocato, salvo casi particolari, non deve interloquire con il giudice in merito al procedimento in corso senza la presenza del collega avversario. 3. L'avvocato chiamato a svolgere funzioni di magistrato onorario deve rispettare tutti gli obblighi inerenti a tali funzioni e le norme sulle incompatibilità. 4. L'avvocato non deve approfittare di rapporti di amicizia, familiarità o confidenza con i magistrati per ottenere o richiedere favori e preferenze, né ostentare l'esistenza di tali rapporti. 5. L'avvocato componente del Consiglio dell'Ordine non deve accettare incarichi giudiziari da parte dei magistrati del circondario, fatta eccezione per le nomine a difensore d'ufficio. 6. La violazione dei doveri e divieti di cui ai precedenti commi comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della censura»

[2] Art. 52 Codice deontologico forense: «1. L'avvocato deve evitare espressioni offensive o sconvenienti negli scritti in giudizio e nell'esercizio dell'attività professionale nei confronti di colleghi, magistrati, controparti o terzi. 2. La ritorsione o la provocazione o la reciprocità delle offese non escludono la rilevanza disciplinare della condotta. 3. La violazione del divieto di cui al comma 1 comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della censura».  

 

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