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Fonti: https://www.codicedeontologico-cnf.it/
Rivolgere frasi infelici nei confronti del giudice costituisce illecito deontologico? In caso affermativo la rilevanza deontologica di queste espressioni può prescindere dall'analisi del contesto in cui le condotte imputate all'avvocato si sono verificate? O piuttosto è possibile che le espressioni oggettivamente infelici possano rientrare nel limite della continenza nell'utilizzo del linguaggio che deve connotare l'agire dell'avvocato sia nella vita privata che nell'esercizio delle sue funzioni? Questo tema è stato affrontato dal Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 280 del 31 dicembre 2022.
Vediamo i punti salienti della vicenda sottoposta al Consiglio.
I fatti del procedimento
Nel caso sottoposto all'attenzione del Consiglio un Magistrato ha presentato un esposto nei confronti dell'avvocato ricorrente in quanto in occasione di un'udienza penale dibattimentale, alla quale l'avvocato è giunto in ritardo, il professionista avrebbe tenuto un comportamento irrispettoso nei confronti del magistrato, pronunciando nei suoi confronti espressioni offensive e comunque sconvenienti. A dire dell'esponente l'avvocato:
Per questa condotta il CDD ha sanzionato l'avvocato con il richiamo verbale dal CDD ritenendo sussistente la violazione
L'avvocato incolpato ha proposto ricorso avverso la decisione del CDD lamentando il difetto di prova del fatto contestato e dell'uso delle espressioni addebitate ed escludendo la sussistenza di un'offesa all'onore e al prestigio del magistrato.
La decisione del Consiglio Nazionale Forense
Nel merito il Consiglio ha rilevato che dall'istruttoria svolta dal CDD non sono state confermate talune circostanze indicate nell'esposto del magistrato. Infatti i testimoni escussi hanno confermato che:
Ciononostante l'organo disciplinare ha ritenuto comunque integrata la violazione deontologica contestata (art. 52, comma 2 CDF), ma in considerazione dell'esiguità del ritardo, della provocazione dell'esponente e dei toni accesi di entrambe le parti ha ritenuto che si sia trattato di violazione lieve e scusabile e ha sanzionato con il richiamo verbale del professionista (non avente carattere di sanzione disciplinare).
Di conseguenza la ricostruzione dei fatti tramite l'escussione dei testimoni ha consentito di ridimensionare in modo significativo la narrazione del magistrato, che ha evidentemente interpretato come aggressivo l'agire dell'avvocato solo perché oppositivo e non passivo rispetto alla propria espressione di disappunto per un ritardo di pochi minuti e giustificato da plurimi fattori.
Per questi motivi il Consiglio Nazionale Forense ha ritenuto che l'espressione usata dal ricorrente, sia stata senza ombra di dubbio infelice e caratterizzata da una connotazione spregiativa, ma che tuttavia non supera quel limite di continenza nell'utilizzo del linguaggio che deve connotare l'agire dell'avvocato sia nella vita privata che nell'esercizio delle sue funzioni nell'ambito della giurisdizione.
Conseguentemente il Consiglio Nazionale Forense ha accolto il ricorso.
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Il mio nome è Anna Sblendorio. Sono una persona curiosa e creativa e mi piace il contatto con la gente. Amo dipingere, ascoltare musica, andare a teatro, viaggiare e passare del tempo con la mia famiglia ed i miei amici. Nel 2008 mi sono laureata in giurisprudenza presso l'Università degli studi di Bari "Aldo Moro" e successivamente ho conseguito l'abilitazione per l'esercizio della professione da avvocato. Nel corso degli anni ho collaborato con diversi centri di formazione occupandomi di tutoraggio in materie giuridiche e nel 2022 ho iniziato a collaborare con la testata giuridica online www.retidigiustizia.it.