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Amante maltrattata: uomo sposato condannato per maltrattamenti in famiglia

Amante maltrattata: uomo sposato condannato per maltrattamenti in famiglia

Con la sentenza n. 4424 dello scorso 4 febbraio, la III sezione penale della Corte di Cassazione, ha confermato una condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia inflitto ad uno uomo che, pur essendo sposato, aveva instaurato una relazione di fatto con la persona offesa, dalla quale aveva avuto anche un figlio.

Si è difatti specificato che è configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia anche in danno di persona non convivente o non più convivente con l'agente, quando quest'ultimo e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo sposato, accusato del reato di maltrattamenti in famiglia commesso in danno della propria amante, con la quale aveva avuto un figlio.

Condannato in primo grado, l'imputato appellava la sentenza di condanna, lamentando la mancanza di una relazione familiare. 

 A tal fine sosteneva che sarebbe stata necessaria la sussistenza di vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione e l'instaurazione di una significativa relazione di carattere sentimentale, tale da in generare l'aspettativa di un vincolo di solidarietà personale e autonoma rispetto ai vincoli giuridici derivanti dalla filiazione e ciò anche in caso di cessata convivenza.

La Corte d'appello di Milano confermava la pena inflitta.

Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'uomo eccepiva vizio di motivazione e erronea applicazione della legge penale per essere stato ritenuto sussistente il reato di cui all'art. 572 c.p. in assenza di una stabile relazione sentimentale.

In particolare, l'imputato evidenziava come la Corte di Appello aveva erroneamente ritenuto che la situazione di fatto, derivante dalla filiazione, fosse elemento sufficiente per stabilire la continuità della relazione e la configurabilità del reato.

La Cassazione non condivide la censura prospettata.

La Corte premette che la famiglia di fatto è quella fondata sulla reciproca volontà di vivere insieme, di generare figli, di avere beni in comune, di dare vita a un nucleo stabile e duraturo, nella quale la convivenza more uxorio realizza una serie di relazioni di stima, di affetto e di fiducia, che corrispondono pienamente a quelle che caratterizzano la famiglia legittima.

 Il reato di maltrattamenti in famiglia, così come risultante dalla novella del 2012, tutela i nuclei familiari fondati sul matrimonio, le famiglie di fatto, e qualunque relazione che, per la consuetudine e la qualità dei rapporti creati all'interno di un gruppo di persone, implichi l'insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tradizionalmente propri del nucleo familiare.

Per pacifica giurisprudenza, è configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia anche in danno di persona non convivente o non più convivente con l'agente, quando quest'ultimo e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione; ciò che esclude la sussistenza del reato pur in presenza dei figli è il legame caratterizzato da precarietà ed instabilità.

Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte d'Appello aveva evidenziato come, sebbene l'imputato continuasse a vivere con la moglie, in una situazione di contemporaneo mantenimento di due famiglie, di fatto aveva instaurato con la persona offesa una relazione stabile, durata circa 5 anni, culminata anche nella nascita di un figlio nel 2011 e caratterizzata dallo svolgimento di quelle attività comuni e tipiche di una relazione stabile e familiare, tale da generare un rapporto stabile di affidamento e solidarietà.

Alla luce di tanto, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

 

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