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Con l'ordinanza n. 2077 depositata lo scorso 30 gennaio, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una donna che si doleva per l'intervenuta revocatoria dell'atto con il quale conferiva una casa di vacanza al fondo patrimoniale della famiglia.
Si è difatti precisato che la costituzione del fondo patrimoniale per fronteggiare i bisogni della famiglia, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un'attribuzione in favore dei disponenti. Esso, pertanto, è suscettibile di revocatoria, a norma dell'art. 64 L. Fall., salvo che si dimostri l'esistenza, in concreto, di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale ed il proposito del "solvens" di adempiere unicamente a quel dovere mediante l'atto in questione.
Una coppia di coniugi costituiva un fondo patrimoniale nel quale conferiva un fabbricato, di proprietà dalla moglie, ad uso civile abitazione sito nel Comune di Vasto.
A seguito del fallimento della donna, il Tribunale di Firenze dichiarava inefficace l'atto notarile di costituzione del fondo, intervenuto nel biennio antecedente alla dichiarazione di fallimento, qualificando espressamente come atto a titolo gratuito ed evidenziando come, nel caso di specie, non ricorreva l'ipotesi dell'adempimento di un obbligo giuridico o morale, volto a vincolare parte del patrimonio a bisogni della famiglia, sottraendoli alla garanzia dei creditori.
La Corte d'Appello confermava la pronuncia di primo grado, ravvisando tutti i presupposti per disporre la revocatoria dell'atto, posto che la destinazione di quell'immobile al fondo patrimoniale non poteva giustificarsi alla luce della volontà della donna di contribuire ai bisogni della famiglia ex art. 143 c.c.: il bene costituito nel fondo patrimoniale, infatti, era una residenza di vacanza e, conseguentemente, non ricorreva una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale e il proposito del solvens di adempiere unicamente a quel dovere mediante l'atto in questione.
Ricorrendo in Cassazione, la donna censurava la decisione della Corte distrettuale per vizio di motivazione, per non aver la Corte di Appello ravvisato la destinazione ai bisogni della famiglia del bene conferito nel fondo patrimoniale.
A sostegno di tanto evidenziava come il bene in questione era residuale rispetto al patrimonio immobiliare complessivo messo a disposizione per le pretese dei creditori, non aveva attitudine a produrre reddito perché modestissimo ed in precarie condizioni manutentive e strutturali; alla luce di tali caratteristiche, non poteva ritenersi integrato il requisito della sproporzionalità tra l'istituzione del fondo e il patrimonio della fallita e, conseguentemente, rimaneva priva di motivazione l'esclusione dell'adempimento del dovere morale.
La Cassazione non condivide le censure formulate dall'ex marito.
I Supremi Giudici ricordano, in punto di diritto, come la costituzione del fondo patrimoniale per fronteggiare i bisogni della famiglia, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un'attribuzione in favore dei disponenti; esso, pertanto, è suscettibile di revocatoria, a norma dell'art. 64 L. Fall., salvo che si dimostri l'esistenza, in concreto, di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale ed il proposito del "solvens" di adempiere unicamente a quel dovere mediante l'atto in questione.
Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini rilevano come – a fronte del rigoroso onere della prova che grava sul fallito in sede di azione revocatoria per sottrarre il bene sul quale è stato costituito il fondo patrimoniale alla massa – la ricorrente non abbia né allegato né provato quali fossero le finalità liberali, essendosi limitata a enunciare genericamente alcuni elementi di fatto quali la non attitudine del bene alla redditualità per dedurne la natura di presidio familiare.
In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello relativo al ricorso principale.
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