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Assegno divorzile, SC: “Può essere revocato sulla base dei nuovi documenti prodotti in appello”

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Con l'ordinanza n. 27234 depositata lo scorso 30 novembre, la I sezione civile della Corte di Cassazione ha escluso il diritto di una donna di vedersi corrisposto un assegno divorzile dall'ex marito, per aver quest'ultimo prodotto in secondo grado un rapporto di indagine di un Istituto di Investigazioni che aveva evidenziato un sostanziale "equilibrio" tra la condizione patrimoniale e la capacità di reddito degli ex coniugi.

Si è quindi specificato che "nel giudizio divorzile in appello, che si svolge, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 15, secondo il rito camerale, di per sé caratterizzato dalla sommarietà della cognizione e dalla semplicità delle forme, va esclusa la piena applicabilità delle norme che regolano il processo ordinario ed è quindi ammissibile l'acquisizione di nuovi mezzi di prova, in specie documenti, a condizione che sia assicurato un pieno e completo contraddittorio tra le parti".

Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Firenze – pronunciando lo scioglimento del matrimonio tra una coppia di coniugi – poneva a carico del marito l'obbligo di versare, a favore della moglie, un assegno di Euro 200,00 mensili, in considerazione della natura alimentare dello stesso e delle diverse condizioni reddituali e patrimoniali degli ex coniugi.

Proponendo appello, il marito produceva in giudizio un rapporto di indagine di un Istituto di Investigazioni e Ricerche, dal quale si evinceva, quanto alle sue disponibilità immobiliari, che questi era solo comproprietario per solo un terzo di un appartamento, mentre, quanto alla situazione economica dell'ex moglie, che quest'ultima disponeva di un suo patrimonio immobiliare, essendo proprietaria di un appartamento, ritualmente locato, nonché della quota di un terzo di altri due immobili. 

Dalla relazione investigativa emergeva altresì che la donna conviveva con altro uomo e aveva svolto in passato diverse attività lavorative presso vari esercizi commerciali, inizialmente non dichiarate, con conseguente sua non credibilità in punto della dedotta condizione di disoccupata.

La Corte di Appello di Firenze, riformando parzialmente la decisione di primo grado, revocava l'obbligo dell'uomo di corrispondere l'assegno divorzile, in quanto – contrariamente a quanto emerso in primo grado – l'istruttoria compiuta in secondo gravo aveva evidenziato un sostanziale "equilibrio" tra la condizione patrimoniale e la capacità di reddito della moglie e quelle del marito, con conseguente non debenza dell'assegno di divorzio a favore della prima.

Ricorrendo in Cassazione, la donna denunciava violazione e falsa applicazione degli articoli 2702 e seguenti del codice civile, nonché dell'articolo 257 bis del codice di rito, per aver la Corte d'appello basato la propria decisione su documenti nuovi, prodotti dall'ex marito solo in appello; secondo la donna tali documenti, sebbene fossero stati tempestivamente contestati, dovevano ritenersi inammissibili per violazione dell'art. 345 c.p.c..

La Cassazione non condivide le difese formulate dalla ricorrente. 

La Corte evidenzia come il rito camerale previsto per l'appello avverso le sentenze di divorzio e di separazione personale, essendo caratterizzato dalla sommarietà della cognizione e dalla semplicità delle forme, esclude la piena applicabilità delle norme che regolano il processo ordinario. Conseguentemente, è pienamente ammissibile anche una produzione documentale al di fuori degli stretti limiti dettati dall'art. 345 c.p.c., purché sia garantito il diritto dell'altra parte ad interloquire sulla tardiva produzione documentale e quindi il principio del contraddittorio.

Con specifico riferimento al caso di specie, l'ex moglie aveva avuto modo di controdedurre ampiamente alla produzione documentale nel corso del giudizio di appello, né vi era stata una eccezione in punto di tardività dell'avversa produzione documentale rispetto al termine dato dal giudice.

Da ultimo gli Ermellini evidenziano come la documentazione prodotta dall'ex marito atteneva anche a fatti maturati dopo la pronuncia di primo grado, con conseguente ammissibilità della prova documentale anche sotto tale profilo.

In conclusione, la Corte respinge il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento dell'importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso. 

 

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