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Assegno divorzile esiguo: la richiedente deve provare la quota di reddito imputabile al mantenimento dei figli

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Con l'ordinanza n. 6470 depositata lo scorso 6 marzo, la I sezione civile della Corte di Cassazione, ha respinto il ricorso di una moglie che, a seguito della raggiunta autosufficienza economica della figlia e della revoca dell'assegnazione della casa familiare, lamentava l'esiguità dell'importo dell'assegno divorzile riconosciutele.

Si è difatti precisato che l'ex coniuge che lamenta l'insufficienza dell'aumento dell'assegno divorzile disposta in suo favore dal giudice, a seguito della raggiunta autosufficienza economica della figlia e della revoca dell'assegnazione della casa familiare, deve dedurre quale quota di reddito era riservata al mantenimento della figlia, in modo da consentire ai Giudici di valutare l'incapacità dell'aumento dell'assegno di permettere alla ricorrente di prendere in locazione un immobile presso cui risiedere.

Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Palermo dichiarava la cessazione dell'obbligo, per un padre, di corrispondere l'assegno che versava all'ex moglie per il mantenimento della figlia maggiorenne, laureata in ingegneria e assunta da una società multinazionale; inoltre, per l'acquisita autonomia economica della ragazza, revocava l'assegnazione della casa coniugale alla mamma, disponendo un aumento mensile dell'assegno di mantenimento alla stessa corrisposto pari a euro 40. 

La Corte di appello di Palermo, rigettando il reclamo proposto dalla moglie, confermava il decreto del locale Tribunale.

Ricorrendo in Cassazione, la mamma censurava la decisione della Corte distrettuale per violazione degli articoli 5 e 9 della legge n. 898 del 1970, nonché per la violazione dell'art. 337-sexies c.c., in tema di quantificazione dell'assegno divorzile in seguito alla revoca dell'assegnazione dell'ex casa coniugale.

A tal fine evidenziava come l'aumento di soli 40 euro fosse insufficiente per far fronte alle varie spese mensili; si deduceva come, sebbene la ragazza si fosse trasferita in altro paese per iniziare un rapporto di collaborazione con un contratto di 24 mesi di apprendistato, di fatto continuava a recarsi mensilmente presso l'abitazione familiare materna, con costi a carico della madre.

Ne derivava l'errore compiuto dalla Corte territoriale nel ritenere che la donna, non dovendo più mantenere la figlia, disponesse di un congruo assegno divorzile, senza compiere una preventiva valutazione sia sull'ammontare della quota dei redditi che la ricorrente riservava al mantenimento della figlia, sia gli esborsi dovuti per la locazione della nuova casa adibita a residenza familiare.

La Cassazione non condivide la censura formulata dalla ricorrente. 

 In punto di diritto, i Supremi Giudici evidenziano che il ricorso, nel denunciare insufficienza dell'aumento disposto sull'assegno di mantenimento, non indica il parametro su cui si sarebbe dovuto commisurare l'incremento dell'assegno divorzile, sicché i motivi proposti - che denunciano tutti la segnalata inadeguatezza dell'implemento dell'assegno divorzile – mancano di autosufficienza, in via diretta o derivata, e vanno dichiarati inammissibili.

Difatti, la ricorrente non ha dedotto quale fosse la quota di reddito riservata al contributo per il mantenimento della figlia né ha allegato, nel rispetto del principio di autosufficienza al quale il ricorso per cassazione deve rispondere, quale somma fosse tornata nella sua libera disponibilità all'esito della revoca del contributo per la figlia, ormai autosufficiente.

In difetto di tale allegazione la Corte di legittimità non ha, quindi, la possibilità di apprezzare se l'importo di mantenimento di cui la donna è beneficiaria, aumentato di soli 40 euro, sia adeguato per le sue esigenze, considerata la revoca del contributo dovuto per il mantenimento della figlia e dell'assegnazione della ex casa coniugale.

Alla luce di tanto, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al resistente le spese di lite e al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

 

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