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Pedone frettoloso impatta contro un ciclista, SC: “Giusta la condanna per lesioni gravi”

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 Con la sentenza n. 6803 dello scorso 19 febbraio, la IV sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato la condanna per lesioni personali inflitta ad un pedone che, mentre attraversava la carreggiata a passo svelto e con disattenzione, impattava contro una ciclista, determinandone la caduta a terra e lesioni gravi, ribadendo che "la ricostruzione di un incidente stradale, nella sua dinamica e nella sua eziologia, è rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione".

Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Pesaro riconosceva una donna colpevole del reato di cui all'art. 590 bis c.p. in quanto, attraversando la carreggiata, a senso unico di marcia, con passo svelto e senza prestare la dovuta attenzione, impattava contro una ciclista che procedeva in bicicletta proveniente da destra, determinandone la caduta a terra e lesioni gravi, consistite nella frattura scomposta del collo e della testa dell'omero destro.

La Corte di appello di Ancona confermava la condanna per il reato di cui all'art. 590 bis c.p., condannandola altresì alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile. In particolare, i giudici di secondo grado respingevano la tesi della difesa che insisteva per una corresponsabilità della persona offesa anche in ragione dell'ecchimosi alla gamba sinistra riportata dall'imputata nello scontro.

 Ricorrendo in Cassazione, l'imputata censurava la decisione evidenziando come il Giudice di secondo grado, pur precisando alcuni elementi di fatto, aveva ascritto la colpa esclusiva del sinistro all'imputata, in aperto contrasto con la descrizione della dinamica del fatto, senza riconoscere il concorso di colpa della persona offesa nella causazione del sinistro.

La ricorrente evidenziava, altresì, come la corte di merito non aveva tenuto conto che non rappresenta una circostanza in sé imprevedibile quella relativa ad un pedone che attraversi una strada in una zona residenziale, con presenza di locali, all'ora di pranzo.

Da ultimo, la difesa dell'imputata lamentava come fossero state ritenute affidabili le dichiarazioni della parte civile e del testimone, senza dare valore alle dichiarazioni dell'imputata, di suo padre e di un altro testimone.

La Cassazione non condivide le doglianze formulate.

Gli Ermellini ricordano che la ricostruzione di un incidente stradale, nella sua dinamica e nella sua eziologia, è rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che è sottratta al sindacato di legittimità se sorretta da adeguata motivazione.

In particolare, le censure deducibili in sede di legittimità rappresentano un numerus clausus, poiché investono profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in Cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudice e delle ragioni della decisione.

 In relazione al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come le censure sollevate con il ricorso siano meramente oppositive e generiche, in quanto reiterative di censure cui la Corte territoriale ha fornito adeguata risposta.

Di contro, dalla lettura della sentenza impugnata emerge come la Corte territoriale, con motivazione immune da alcuna censura, abbia dato atto di come, all'esito dell'istruttoria e delle precise dichiarazioni rese dalla persona offesa e da un teste oculare, era emerso che l'imputata non avesse prestato la dovuta e prescritta attenzione nell'attraversare la strada, finendo per travolgere la ciclista, la quale procedeva regolarmente, tenendo la destra, così determinandone la caduta proprio sul margine destro della carreggiata. La Corte ha adeguatamente illustrato le ragioni per le quali le dichiarazioni rese dall'imputata e da suo padre erano apparse non credibili e, per certi versi, illogiche.

In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

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