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Violenza sessuale, SC: “E’ sufficiente che la donna pianga durante il rapporto”

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Con la sentenza n. 42118 dello scorso 15 ottobre, la III sezione penale della Corte di Cassazione, ha confermato la condanna per il reato di violenza sessuale inflitto ad un uomo che aveva avuto un rapporto sessuale con la compagna non consenziente, ritenendo manifestazione inequivoca del suo dissenso la circostanza per cui la stessa, per tutta la durata del rapporto, aveva pianto.

Si è difatti specificato che ai fini del reato è sufficiente qualsiasi forma di costringimento psico-fisico idoneo ad incidere sull'altrui libertà di autodeterminazione, senza che rilevi in contrario né l'esistenza di un rapporto di coppia coniugale o para-coniugale tra le parti, né la circostanza che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, subendoli, laddove risulti la prova che l'agente, per le violenze e minacce poste in essere nei riguardi della vittima in un contesto di sopraffazione ed umiliazione, abbia la consapevolezza di un rifiuto implicito da parte di quest'ultima al compimento di atti sessuali.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, accusato dei reati di cui agli artt. 572, 582 e 585 c.p. nonché 609-bis, e 609-ter comma 1, n. 5-quater c.p. per taluni fatti commessi in danno della sua compagna. 

 In particolare l'imputato, in un contesto di convivenza e di consuetudine al rapporto intimo, aveva costretto la donna ad un rapporto sessuale completo, nonostante il mancato consenso della persona offesa che, per tutta la durata del rapporto, aveva pianto. La condotta si era risolta in un atto di umiliazione e di sfregio in quanto l'uomo, giunto all'illecita soddisfazione sessuale, iniziava a lanciare alla compagna i fazzoletti dicendole "pulisciti", già incurante del pianto e delle suppliche di costei che gli domandava per quale motivo si comportasse in quel modo.

Per tali fatti, sia in primo che in secondo grado l'uomo veniva condannato a quattro anni e dieci mesi di reclusione.

Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'uomo osservava come il dissenso al rapporto era stato manifestato dalla donna solamente al termine e dopo l'atto sessuale, allorquando gli contestava la vessazione subita e la sua volontà di chiudere la relazione affettiva, senza però fare alcun riferimento ad atti di violenza sessuale ovvero a costrizione di rapporti.

La Cassazione non condivide le difese mosse dal ricorrente.

La Corte premette che integra l'elemento oggettivo del reato di violenza sessuale non soltanto la condotta invasiva della sfera della libertà ed integrità sessuale altrui realizzata in presenza di una manifestazione di dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza del consenso, non espresso neppure in forma tacita, della persona offesa.

L'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale è costituito dal dolo generico, ovvero dalla coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona non consenziente; la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l'errore sul dissenso si sostanzia, pertanto, in un errore inescusabile sulla legge penale. 

 Ne deriva che è sufficiente che l'agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali a suo carico, non essendo ravvisabile alcun indice normativo che imponga, a carico del soggetto passivo del reato, un onere, neppure implicito, di espressione del dissenso all'intromissione di soggetti terzi all'interno della sua sfera di intimità sessuale. Al contrario, si deve piuttosto ritenere che tale dissenso sia da presumersi, laddove non sussistano indici chiari ed univoci volti a dimostrare l'esistenza di un, sia pur tacito ma in ogni caso inequivoco, consenso.

Con specifico riferimento al caso di specie, la Cassazione evidenzia come nessuna censura del ricorrente demolisce la ricostruzione operata dalla sentenza impugnata: l'imputato, infatti, giammai avrebbe potuto dubitare sugli espressi dinieghi all'atto sessuale che la donna gli aveva ripetutamente ribadito; inoltre, il pianto protrattasi in occasione della violenza non faceva che confermare quanto doveva essere già chiaro all'imputato, che alcuna giustificazione poteva così al riguardo accampare.

Da ultimo la Corte ricorda come una siffatta condotta non può essere scriminata dall'esistenza di un rapporto di coppia coniugale o para-coniugale tra le parti, atteso che non esiste all'interno di un tale rapporto un "diritto all'amplesso", né conseguentemente il potere di esigere o imporre una prestazione sessuale; né, d'altro canto, può ritenersi che in un contesto di angherie e di sopraffazioni, gratuite ed ingiustificate, poteva avere reso la persona offesa più "preparata" anche all'aggressione sessuale.
In conclusione la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

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