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Studio legale associato: quando è legittimato a richiedere il compenso per l’attività svolta dagli associati?

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Con l'ordinanza n. 23489 dello scorso 27 ottobre, la VI sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi su una richiesta di liquidazione dei compensi avanzata da uno studio associato per l'attività giudiziale svolta da due avvocati facenti parte dello studio, ha specificato che "sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato ove il giudice del merito accerti che l'associazione si ponga come autonomo centro d'imputazione di rapporti giuridici rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l'incarico".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'istanza con cui uno studio legale tributario chiedeva che il proprio credito di Euro 120.242,33 fosse ammesso al passivo di un fallimento. A tal fine, si precisava che il predetto credito concerneva le prestazioni professionali svolte a favore del fallito da due avvocati facenti parte dello studio.

Il Giudice delegato del fallimento non ammetteva al passivo della procedura il credito vantato dallo studio legale associato, rilevando come non vi fosse prova dell'avvenuta cessione del credito da parte di tali professionisti all'associazione istante, la quale dunque non risultava legittimata a presentare quell'istanza di insinuazione. 

 Il Tribunale di Catania, a seguito dell'opposizione proposta, confermava la mancata dimostrazione della legittimazione ad agire dello studio associato opponente, sia perché non era stato depositato lo statuto sia perché l'intestazione delle fatture allo studio professionale non era prova sufficiente della titolarità del credito in capo all'associazione professionale.

Ricorrendo in Cassazione avverso il decreto di rigetto dell'opposizione, lo studio legale tributario eccepiva violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., rilevando come l'attività professionale nella quale trovava titolo il credito dedotto in giudizio lasciava presumere che l'associazione professionale avesse chiesto l'ammissione quale cessionaria del credito dei singoli associati.

A tal fine, i ricorrenti elencavano tutta una serie di elementi – quali, il necessario conferimento del mandato professionale a singoli professionisti, la sicura riconducibilità al patrocinio in sede giudiziale della causa del credito e il fatto che gli avvocati non avessero presentato alcuna insinuazione per il loro compenso – che lasciavano appunto presumere l'avvenuta cessione del credito in favore dello studio.

La Cassazione non condivide le doglianze sollevate del ricorrente.

 La Corte premette che, ai sensi dell'art. 36 c.c., l'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che ben possono attribuire all'associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati.

Ne deriva che sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato ove il giudice del merito accerti che l'associazione si ponga come autonomo centro d'imputazione di rapporti giuridici rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l'incarico.

Difatti, i professionisti che si associano per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività, non trasferiscono per ciò solo all'associazione tra loro costituita la titolarità del rapporto di prestazione d'opera, ma conservano la rispettiva legittimazione attiva nei confronti del proprio cliente: occorre dunque che il giudice di merito si faccia carico di stabilire in concreto il tenore dello statuto interno dell'associazione medesima, onde consentire di desumere da questo accertamento la prova della legittimazione attiva dell'associazione.

Con specifico riferimento al caso di specie, il Tribunale ha ritenuto che mancasse la prova della legittimazione attiva dell'associazione, ritenendo insufficiente a tal fine l'emissione delle fatture da parte dell'associazione professionale e negando che gli elementi offerti dal ricorrente potessero sostenere una prova presuntiva in merito all'avvenuta cessione del credito.

Alla luce di tanto, la sentenza in commento conferma l'accertamento compiuto, insindacabile in sede di legittimità, spettando unicamente al giudice di merito valutare l'opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici.

Compiute queste precisazioni, la Cassazione rigetta il ricorso.

 

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