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E' da qualche decennio che continuo a chiedermi chissà quanti testi, manoscritti, appunti, fotografie, manifesti … giacciono nei cassetti degli antichi palazzi delle Comunità rurali.
Non mancano gli esempi e, in alcuni casi, ci hanno fatto scoprire scrittori che il tempo gli ha riconosciuto i giusti meriti.
Ed è da due decenni, da quando ho cominciato a frequentare il giovane Giuseppe Spinello, che ho percepito, giorno dopo giorno, anno dopo anno, che questo giovane attento, rigoroso, con quella passione che contraddistingue i ricercatori, i catalogatori, i cosiddetti "topi di archivio". In più, il giovane Giuseppe, aveva l'archivio di famiglia in casa.
In una nota delle scorse settimane abbiano presentato il suo "C'era una volta Niscemi …" che ha avuto, in questo sito, oltre 1700 visualizzazioni e un'interessante diffusione. Ed è proprio in quei giorni che Giuseppe mi informa di un suo progetto: scrivere racconti, che abbiano comunque un palcoscenico dove si muovono personaggi, famosi o meno, della borghesia rurale dell'Ottocento e che escono, comunque dalla "biblioteca di casa", come ha scritto nel libro precedente, che "… diventa metafora eterna verso il sapere".
Ed eccoci a questa ultima "fatica", a questo "Il marchese e il serafico Velo della Madonna".
Un'opera che ha avuto un travaglio non indifferente tra la scomparsa della signora Mimì, madre di Giuseppe alla quale era, ed è sentimentalmente, molto legato, tra dare alle stampe il primo e secondo libro in un breve lasso di tempo, il lavoro all'Agenzia dell'Entrate, i suoi interessi culturali.
Così la decisione di pubblicare questo secondo libro, questo libretto, con una copertina elegantemente cartonata, nasce con il confronto con gli amici e, soprattutto, dai consigli di Angelo Filsero Battaglia, che arricchisce il testo, con una Prefazione che scandaglia ogni parola, ogni capoverso, ogni pagina per renderci una felice lettura.
Scrive Angelo Filsero Battaglia: " Intriso di una similitudine potente e raffinata, mai banale, quello che Vi accingete a leggere è un racconto breve, intorno alla visceralità delle passioni umane, alla potenza del ricordo, alla canicola sotto cui si scioglie il sentimento e vibra la teatralità umana con la sua malinconica tragicità.
"Racconto breve – scrivevo sopra - ma non un breve racconto. Anzi, trattasi di una narrazione lunga, che parte da ancestralità lontane, da devozioni innate, da immorali istinti per divenire scorcio storico, compendio e metafora di un modello solo in apparenza gattopardesco. In apparenza, sottolineo: perché leggendo una prima volta questo libricino sembrano ritrovarsi le tinte pastello, vivaci di Tomasi di Lampedusa o, più recentemente la letteratura cordiale di Cammilleri. In realtà a una lettura più attenta e approfondita emerge un'estetica diversa. Non è il racconto di una vicenda atta a dimostrare con fine etico o moraleggiante l'effimera illusione dei cambiamenti, ma è la conferma della dominanza dei sentimenti umani più viscerali, più primitivi e antichi, sui comportamenti e sulle relative conseguenze. La passione può essere una colpa? Il desiderio può diventare una colpa?".
A questi due notevoli scrittori, Angelo Filsero Battaglia ne aggiunge un altro: Gabriele d'Annunzio. "Personalmente vedo in alcuni tratti dell'estetica dannunziana in alcuni punti della narrazione di Spinello Benintende".
Il racconto inizia con l'arrivo alla Chiesa Madre del "Sacro velo di Maria SS. del Bosco" di Niscemi. Con il rituale che, ormai, si ripete da quel 21 maggio 1599, anche se il canonico Rosario Disca e i documenti da lui consultati, affermano che il giorno del ritrovamento sia stato domenica 16 maggio, e non il 21.
La Piazza piena di tutte le famiglie niscemesi e la Chiesa, addobbata a festa, pronta ad ascoltare la predica di ringraziamento del parroco don Gioacchino.
Un rituale messo ben in evidenza e che rinnova periodicamente il ringraziamento dei cittadini per la "grazia ricevuta" del ritrovamento. Anche se, bisogna dire, che di questi ritrovamenti, proprio in quel periodo e nei feudi della famiglia Branciforti, ma non solo, se ne verificarono molti altri.
Ma accanto alla moltitudine di persone adoranti, c'è qualcuno che non vede l'ora che tutto finisca e di ritornare a casa. Il marchese e il notaio Paolo Li Moli, amici d'infanzia, di studi, "distratto" il primo, "impegnato" il secondo, e di avventure, dove eccelleva il marchese.
"Parimenti giovani e belli i due amici, sono nati e cresciuti a Niscemi, da nobili famiglie, imparentate tra loro, sia da parte dei padri che da parte delle madri. Non disperdere il patrimonio voleva dire mescolare fra loro il sangue, anche se poi finiva che si scannavano dietro alle carte bollate per un legato o un feudo, ma sempre tutto tra loro doveva rimanere, a robba, u sangu e i sciarri".
Il racconto, con leggerezza e proprietà di linguaggio, narra le usanze , le abitudini, i comportamenti di una borghesia rurale nata, e cresciuta, con la concezione che i diritti appartenessero solo ed esclusivamente a loro. Ai padroni. Mentre alle classi subalterne rimanevano solo i doveri. E di qualsiasi natura.
Durante il periodo estivo le famiglie, dopo la festa della santa patrona, si trasferivano nelle loro campagne. Gli adulti sorvegliavano i lavori dei campi, mentre "i signorini" si divertivano "… nel distruggere le conche attorno agli alberi preparate dai disperati, ma rassegnati contadini. […] Tutti facevano parte del gioco, chi per nascita, chi per desiderio di riscatto. E nelle calde giornata di agosto non mancava mai il bagno nell'abbeveratoio, proprio quello dove il marchesino smise di essere adolescente e divenne uomo".
E fu proprio in una giornata di agosto che il marchesino "… completamente nudo si immerse nella fresca acqua, come quasi si trovasse nella vasca da bagno del suo immenso palazzo. Senza nemmeno sapere quanto tempo fosse trascorso, arrivò Tanuzza con i suoi secchi e i suoi stracci da lavare. […] Aprì gli occhi e si ritrovò Tanuzza lì davanti a lui a fissarlo. Era già bello e formato, come bella e formata era pure lei e già esperiente, tanto da capire che doveva spogliarsi ed entrare anche lei nell'acqua. Il suo fu un istinto dettato dalla chimica e dall'essere serva. Il marchese, immobile, si lasciò catturare ma da quel giorno fu lui ad essere cacciatore".
Ci rimanda, questa Tanuzza, alle condizioni sociali delle giovani donne mandate "a servizio", si diceva una volta, nelle famiglie borghesi della poesia "Catoi" di Mario Gori: "… mandiamo la sorella cameriera,/la sorella più grande, ancora tenera,/quella che coltivava nelle graste/i garofani e guardava nella via/con occhi grandi e tristi le ragazze/ con quattro letti di biancheria/e il picciotto massaro col carretto./Mandiamola a pulire i pavimenti./Ma il signorino impastato di burro/s'è ormai stancato di sfregiar le gambe/ai giocattoli, ormai gli s'è ingrossata/la voce, ha i peli in faccia e gli hanno messo/i calzoni da uomo …".
Improvvisamente il "14 maggio 1769", il canonico Disca fa risalire l'evento al 14 dicembre 1769, ma questo è un dettaglio, accade un evento tristissimo: "… la venerabile immagine di Maria Santissima Madre del Nostro signore Gesù Cristo ha preso fuoco".
Un evento di cui si comincerà a discutere sulle cause dell'incendio, di un eventuale furto e di tanto altro.
Il racconto è ricchissimo di episodi che coinvolgono i personaggi descritti con un linguaggio forbito che, in maniera sobria e sapiente, riesce ad intrecciare la lingua italiana con il dialetto niscemese: dal marchese all'amico Paolo, allo zio parroco, alla serva Tanuzza, alla fedele Concetta, che alla fine rimarrà nel palazzo con il marchese che aveva deciso di non lasciare più.
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Rosario Antonio Rizzo
Dopo il conseguimento del diploma di insegnante di scuola elementare all’Istituto magistrale “Giuseppe Mazzini” di Vittoria, 1962, si reca in Svizzera, dove insegna, dal 1964 al 1975, in una scuola elementare del Canton Ticino.
Dal 1975 al 1999 insegna in una scuola media, sempre nel Canton Ticino e, in corso di insegnamento dal 1975 al 1977 presso l’Università di Pavia, acquisisce un titolo svizzero, “Maestro di scuola maggiore” per l’insegnamento alla scuola media. Vive tra Niscemi e il Canton Ticino. Ha collaborato a: “Libera Stampa”, quotidiano del Partito socialista ticinese; “Verifiche” bimensile ticinese di scuola cultura e società”; “Avvenire dei lavoratori”; “Storia della Svizzera per l’emigrazione”“Edilizia svizzera”. In Italia: “Critica sociale”; “Avanti”; Annali” del Centro Studi Feliciano Rossitto; “Pagine del Sud”; “Colapesce”; “Archivio Nisseno”.