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Con l'ordinanza n. 29838 depositata lo scorso 20 novembre, la Cassazione, adita dai genitori di un minore che aveva subito postumi invalidanti a causa della condotta colposa dei medici, ha accolto la richiesta di risarcimento del danno da perdita di chance, specificando che "In caso perdita di chance conseguente la malpractice sanitaria, l'attività del giudice deve tenere distinta la dimensione della causalità da quella dell'evento di danno, valutando adeguatamente il grado di incertezza dell'una e dell'altra. La riconducibilità dell'evento di danno al concetto di chance postula un'incertezza del risultato sperato ed è rispetto all'insorgenza di questa situazione di incertezza - non già al mancato risultato stesso, che darebbe luogo ad una diversa specie di danno - che deve essere accertato il nesso causale, secondo il criterio civilistico del "più probabile che non"".
Gli attori esponevano che, dopo un soggiorno in Marocco, il loro bambino aveva manifestato uno stato febbrile e soporoso accompagnato da cefalea, epistassi, tosse e vomito; recatesi più volte presso le strutture ospedaliere convenute, veniva effettuata una diagnosi sempre diversa, senza mai pervenire ad una definitiva risoluzione del quadro clinico; soltanto in ultima istanza, veniva diagnosticata al minore una meningoencefalite, con successivi postumi invalidanti rappresentati da tetraplegia ed afasia.
I genitori deducevano che tali postumi erano casualmente da ricondurre alla negligente, imprudente ed imperita esecuzione delle prestazioni mediche nelle strutture sanitarie; la c.t.u. medico-legale evidenziava che una tempestiva diagnosi, con i relativi trattamenti sanitari, avrebbe certamente ridotto, sebbene non si possa dire con certezza in che misura, i postumi invalidanti.
Il Tribunale di Avezzano condannava la struttura convenuta al pagamento della somma di euro 1.100.000,00 a titolo di risarcimento del danno da perdita di chance di guarigione.
La sentenza veniva appellata dalle AUSL, deducendo che il Tribunale aveva pronunciato extra petitum, poiché gli attori non avevano richiesto il risarcimento del danno da perdita di chance; ad ogni modo, si eccepiva che il nesso causale non era stato provato.
La Corte d'appello dell'Aquila accoglieva il gravame: sulla scorta delle risultanze dell'espletata c.t.u. (secondo la quale un tempestivo ed adeguato trattamento terapeutico, qualora fosse stato effettuato, molto probabilmente non avrebbe totalmente risolto, in quel momento, l'affezione e le relative sequele invalidanti), la corte di merito riteneva che non si fosse raggiunta certezza alcuna sugli sviluppi della malattia nel caso in cui i medici avessero correttamente posto in essere la condotta dovuta (c.d. causalità ipotetica) e che, quindi, non era stato provato il nesso causale.
La Cassazione, adita dai genitori del minore, evidenzia come conclusione del giudice di merito – secondo cui deve escludersi, in termini di certezza probabilistica, la sussistenza di nesso eziologico tra la condotta dei sanitari ed il decorso e l'esito invalidante della patologia – confonde l'incertezza dell'evento con l'incertezza del nesso causale, pervenendo ad escludere la sussistenza del nesso eziologico fra la condotta dei sanitari e l'esito invalidante della patologia sulla base dell'incertezza di quelli che avrebbero potuto essere i risultati di una corretta e tempestiva diagnosi.
Gli Ermellini specificano che la possibilità di conseguire un risultato migliore attiene al piano dell'evento, non del nesso causale: se condotta colpevole del sanitario ha avuto, come conseguenza, un evento di danno incerto, tale incertezza eventistica dà luogo alla lesione della chance di guarigione la quale è risarcibile equitativamente, alla luce di tutte le circostanze del caso, come possibilità perduta, nella sua necessaria dimensione di apprezzabilità, serietà, consistenza.
Più precisamente, l'incertezza circa quello che avrebbe potuto essere l'esito finale di una diagnosi corretta e tempestiva degrada l'evento dannoso da "danno certo" a "perdita di chance": ciò non si traduce nell'incertezza anche in ordine al nesso eziologico, che – in ambito civile - ben può risultare provato secondo il noto criterio del "più probabile che non", anche in relazione ad un evento incerto (la possibilità perduta).
La Corte d'appello non si è attenuta a tale principio, ritenendo che dall'incertezza dell'evento dannoso potesse trarsi l'automatica conclusione dell'esclusione di un nesso eziologico riferibile alla condotta dei sanitari: i due profili, invece, avrebbero dovuto costituire oggetto di un diverso accertamento in fatto.
In particolare, la Corte di merito, verificata la sussistenza di una possibilità di guarigione o, comunque, di riportare un deficit invalidante di minor grado di quello effettivamente conseguito, avrebbe dovuto poi accertare se tale lesione della chance di conseguire un risultato migliore era dipesa dalla condotta dei sanitari.
La Corte accoglie, quindi, il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello dell'Aquila, in diversa composizione, la quale dovrà attenersi ai principi di diritto sopra enunciati.
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