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Con la sentenza n. 4063 dello scorso 3 febbraio, la IV sezione penale della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla responsabilità penale di una radiologa accusata per aver mal refertato una Tac, ha cassato la sentenza di condanna inflitta dai Giudici di merito, che avevano omesso di interrogarsi sulle conseguenze salvifiche di un intervento appropriato della dottoressa, risultando così carente l'aspetto riguardante il profilo del giudizio controfattuale.
Si è difatti ribadito che nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, deve necessariamente farsi luogo ad un ragionamento controfattuale che deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività richiesta al sanitario (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l'evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale.
Il caso sottoposto all'esame della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di una radiologa, imputata del reato di cui all'art. 589 c.p. per il decesso di un signore, avvenuto a causa di una emorragia cerebrale verificatosi dopo la dimissione dal Pronto soccorso con prescrizione di terapia analgesica e miorilassante.
Era contestato alla radiologa di non avere evidenziato nel referto dalla stessa stilato la presenza di lesioni encefaliche, di edema cerebrale e di sanguinamento intracranico: tale omissione aveva indotto il medico di pronto soccorso, che aveva richiesto l'esame diagnostico, a dimettere il paziente, senza provvedere ad ulteriori approfondimenti, quali il ricovero dell'uomo in un reparto specializzato di neurochirurgia ed una consulenza neurologica.
Per tali fatti, sia il Tribunale di Ivrea che la Corte di Appello di Torino condannavano il medico alla pena di giustizia, sul presupposto che tutti gli specialisti che si erano occupati della vicenda avevano concordato sull'erroneità della lettura della tomografia encefalitica da parte dell'imputata.
In particolare, il Collegio giudicante evidenziava come il sanitario fosse stata sia negligente – per aver refertato la Tac sebbene la stessa risultasse sfocata e per aver ammesso che solo un radiologo esperto e specializzato avrebbe potuto individuare la patologia – sia imperita, per non essersi attenuta alle linee guida.
Avverso la pronuncia di condanna, la radiologa ricorreva in Cassazione, eccependo l'errore compiuto dalla Corte distrettuale per non aver considerato i parametri normativi di cui all'art. 3 della cd. legge Balduzzi, ascrivendole una colpa non individuabile alla stregua del comportamento serbato ed omettendo anche di valutare il grado della colpa.
La Cassazione condivide la doglianza della ricorrente.
La Corte premette che con il decreto Balduzzi – che ha inserito il parametro di valutazione dell'operato del sanitario costituito dalle linee-guida e dalle buone pratiche clinico-assistenziali – si sono modificati i termini del giudizio penale, imponendo al giudice non solo una compiuta disamina della rilevanza penale della condotta colposa ascrivibile al sanitario alla luce di tali parametri ma, ancor prima, un'indagine che tenga conto dei medesimi parametri allorché si accerti quello che sarebbe stato il comportamento alternativo corretto che ci si doveva attendere dal professionista, in funzione dell'analisi controfattuale della riferibilità causale alla sua condotta dell'evento lesivo.
Ne deriva che, nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, deve necessariamente farsi luogo ad un ragionamento controfattuale che deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività richiesta al sanitario (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l'evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale.
Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la Corte territoriale, nella disamina dei fatti, abbia tralasciato di indicare sia se il caso concreto fosse regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali, sia se si fosse trattato di colpa per imperizia, negligenza o imprudenza; inoltre, non si è indicato il grado della colpa che, alla luce del decreto Balduzzi, è la premessa indispensabile per discernere l'ambito del penalmente rilevante nella materia della colpa medica.
Da ultimo, gli Ermellini evidenziano come l'errore, ex se, non vale a tradursi nell'immediato riconoscimento della responsabilità penale: la sentenza impugnata, infatti, non ha considerato il nesso di causa e ha omesso di interrogarsi sulle conseguenze salvifiche di un intervento appropriato del sanitario, risultando così carente l'aspetto riguardante il profilo del giudizio controfattuale.
Alla luce di tanto, la Cassazione annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'appello di Torino.
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