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Azouz Marzouk: un concentrato di strampalate e fantasiose contraddizioni
Una vicenda senza fine che, quando sembrava conoscere un momento di calma, viene riaperta da Azouz Marzouk.Dalla Tunisia, dove è tornato a vivere,è riapparso sostenendo la tesi che a commettere la strage di Erba non siano stati Rosa Bazzi e Olindo Romano, condannati all'ergastolo con sentenza passata in giudicato. Persona "socialmente pericolosa": così è stato definito dal Tribunale di sorveglianza di Varese che ne ha disposto l'espulsione. Arrestato nel 2005, condannato a 3 anni e mezzo per spaccio poi uscito per l'indulto, arrestato di nuovo per spaccio di cocaina ed espulso dall'Italia dopo aver patteggiato 13 mesi di carcere, Marzouk ha deciso di allearsi con coloro che, per lo stato italiano, sono colpevoli del massacro della sua famiglia. Azouz è colui che più di ogni altro ha perso in quella carneficina. Era l'11 dicembre 2006 quando furono uccisi suo figlio Youssef che aveva appena due anni, la moglie Raffaella Castagna, la suocera Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini. Il tunisino è anche coluiche appena dopo l'arresto dei coniugi Romano non aveva dubbi sulla loro colpevolezza e diceva: «Se fossi in quel carcere li ammazzerei io. Vivo solo per la vendetta». In tv parlava del suo dolore. Nelle telefonate intercettate dalle fiamme gialle parole sprezzanti perfino sul funerale della moglie e del figlio. Quando un'amica gli telefona per discutere dei preparativi Azouz si lascia andare a una frase sgradevole, che la dice lunga sul personaggio: «Cosa me ne frega della cassa. Com'è, bianca o marrone. Cazzo me ne frega a me». Il ritratto di un uomo che - mentre vendeva ai talk show le sue lacrime di marito e di padre - si vendeva in privato come un guappo indifferente e quasi sprezzante verso tutto quel sangue.
È sempre lui che, al funerale di moglie e figlio in Tunisia, invitò Corona per vendergli l'esclusiva delle foto "rubate" nella camera ardente. Dopo la strage Azouz aveva vissuto un periodo di grande notorietà tra inviti, feste e offerte di lavoro. Il lutto gli stava spalancando una nuova vita. Abiti alla moda, auto di lusso, cene nei ristoranti più eleganti, tante donne pronte a consolare quel bel vedovo con lo sguardo triste. Faceva serate con Lele Mora e dopo neanche un anno dalla strage fu intercettato mentre diceva: "Questi sono stati i mesi più belli della mia vita, mi hanno proposto di lavorare in cambio di sesso. Sono arrivati persino a dirmi: quanto vuoi per una scopata?". Poi è finito di nuovo nei guai e quel mondo gli ha rapidamente girato le spalle. Uscito dal carcere è tornato a Lecco. Un bar con un socio, la nuova storia d'amore, una quotidianità anonima e, infine, l'espulsione. Adesso, in una intervista a Telelombardia afferma: «Sono convinto che esiste un'altra storia. E anche le carte dicono chi è stato. Se leggete le carte si capisce chi è stato. La pista della 'ndrangheta non c'entra niente, quella è una teoria che loro hanno voluto tirare fuori. La mia tesi è che so chi è andato... Chi è...So chi ha interesse ad ammazzare mio figlio e mia moglie». Una persona che Marzouk dice di conoscere "sicuramente". Secondo il tunisino, i veri responsabili sarebbero entrati a processo «da testimoni». «È una mia idea». Suffragata da cosa, ancora non si è ben capito. Un concentrato di esilaranti e fantasiose contraddizioni: era stato lo stesso Marzouk, all'epoca, a suggerire la pista della 'ndrangheta che, a suo dire, avrebbe voluto colpirlo per uno "sgarro" avvenuto durante una partita a pallone in carcere.«Me l'hanno giurata. Mi volevano morto». Sempre lui affermava: «Io non ce l'ho con gli italiani, so benissimo che non siete tutti uguali... Ma con loro (i coniugi Romano) la vita era diventata impossibile... Hanno picchiato la Raffa che era ancora incinta... Un paio di volte abbiamo dovuto chiamare anche i carabinieri per difenderci».
E ora si schiera a fianco di Olindo e Rosa. Quella Rosa Bazzi che l'ha accusato di averla stuprata. «Era cotto di me - sostiene la donna -.Lui ripeteva che mentre era in galera non faceva altro che pensare a me. Mi ha strappato gonna e mutandine. Ho cercato di difendermi inutilmente, di lottare. Lui era sopra di me, sul divano, siamo caduti. Ho capito che era entrato in me. Mi diceva che era bellissimo, che avrebbe ucciso il mio Olindo per portarmi in Tunisia. Sono andata a lavarmi in doccia. E' arrivato mio marito. Non gli ho mai detto cos'è accaduto». Nelle registrazioni prodotte in aula, la strage diventa il modo di Rosa Bazzi di vendicarsi di Marzouk: «Era il mio scopo. Vedevo lui su Raffaella, sulla mamma, sul bambino e sui signori di sopra. Il volto di lui che mi sorrideva, bello e soddisfatto. Vedevo lui, vedevo la scena di quello che abbiamo fatto sul divano». Ce n'è abbastanza per spegnere riflettori e telecamere sui personaggi di questa commedia dell'orrore.
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«Di cosa ti occupi?». Una domanda che ci si sente rivolgere spesso. «Scrivo», la risposta audace del sottoscritto. «Ma no, intendevo dire: che lavoro fai?». Ecco, questa è la premessa. Sono veneto, di Jesolo, fin dal lontano 1959. Dopo un intenso vagabondare che negli anni mi ha visto avviare diverse iniziative imprenditoriali in Europa, ho messo momentanee radici a Busto Arsizio. Il mio curriculum include l’esperienza della detenzione, e non ho alcuna intenzione di nasconderlo perché la considero una risorsa che mi appartiene e mi ha arricchito. No, non mi riferisco ai soldi… Sono attento alle tematiche che riguardano la detenzione in ogni suo aspetto, nella convinzione che si possa fare ancora molto per migliorare il rapporto tra la società civile e il carcere. Ebbene sì, per portare a casa la pagnotta scrivo per alcuni periodici, tra cui InFamiglia, DiTutto, Così Cronaca, Adesso, Sguardi di Confine e Sport Donna occupandomi principalmente di sociale. Ho pubblicato Pane & Malavita per Umberto Soletti Editore. Amo la musica, la lettura e la cucina. Sono nonno e mi manca tanto il mare.