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Stalking, divieto di dimora: provvedimento legittimo anche se non si può più rientrare al proprio domicilio

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 Con la sentenza n. 26222 dello scorso 17 settembre, la V sezione penale della Corte di Cassazione, ha confermato la misura del divieto di dimora disposta a carico di un uomo sardo accusato di stalking ai danni di una ragazza residente nel suo stesso comune di residenza, rigettando l'istanza dell'uomo che lamentava l'impossibilità – alla luce di quella misura – di poter rientrare presso la propria abitazione.

Si è difatti precisato che "il Tribunale non è incorso in alcuna ultrapetizione e violazione dell'art. 291 c.p.p. nell'applicazione della misura cautelare del divieto di dimora in sol perché tale inibizione impedisce anche di accedere alla propria abitazione, che si trova, appunto, nel capoluogo sardo".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, accusato di stalking per aver messo in atto ripetute condotte persecutorie verso una donna residente, come lui, nel capoluogo sardo.

Applicata una prima misura cautelare, l'indagato persisteva con la sua condotta invasiva, arrivando a trasgredire – in un arco di tempo assai ravvicinato – esplicitamente e ripetutamente il regime cautelare adottato.

 In virtù di tanto, si disponeva un progressivo aggravamento del regime cautelare, applicando a carico dell'indagato l'adozione della misura cautelate del divieto di dimora nel comune ove risiedeva la persona offesa.

L'indagato chiedeva, quindi, la sostituzione della misura cautelare applicata per il reato di stalking con altra meno afflittiva, evidenziando come, con quel divieto, gli era di fatto inibito rientrare presso la propria abitazione.

Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Cagliari rigettava la richiesta di sostituzione; il Tribunale del riesame di Cagliari, respingendo l'appello cautelare presentato nell'interesse dell'indagato, confermava l'ordinanza e la legittimità della misura cautelare applicata.

Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'indagato chiedeva l'annullamento dell'ordinanza impugnata, denunciando come il giudice del riesame avesse ritenuto legittima la misura cautelare del divieto di dimora nel comune di sua residenza sebbene tale limitazione recava in sé anche l'ulteriore aggravio dell'impossibilità di accedere alla propria abitazione.

A tal fine il ricorrente deduceva anche la violazione dell'art. 111, comma 7, Cost. e dell'art. 291 c.p.p., sul presupposto che il Tribunale del riesame — non fornendo risposta al corrispondente motivo di appello – aveva replicato l'errore di ultrapetizione già commesso dal Giudice per le indagini preliminari con l'applicazione di quella particolare misura cautelare.

La Cassazione non condivide le difese mosse dal ricorrente.

 Secondo la Corte, infatti, il Tribunale non è incorso in alcuna ultrapetizione e violazione dell'art. 291 c.p.p. nell'applicazione della misura cautelare del divieto di dimora in sol perché tale inibizione impedisce anche di accedere alla propria abitazione, che si trova, appunto, nel capoluogo sardo.

II vizio di ultrapetizione vi sarebbe stato se il Giudice della cautela avesse applicato una misura cautelare più grave di quella richiesta dal pubblico ministero: circostanza, quest'ultima, neanche dedotta dal ricorrente.

Diversamente, il ricorrente lamenta l'ultrapetizione in relazione alla mancata risposta specifica, da parte del Tribunale del riesame, sulla sua richiesta di applicazione di misura meno afflittiva: su tale aspetto, tuttavia, il ricorrente è privo di interesse a dolersi di una lacuna motivazionale che, anche in caso di annullamento, non avrebbe sortito alcun esito positivo nel giudizio di rinvio, posto che la mancanza di una risposta specifica sul punto non poteva affatto condurre all'annullamento dell'ordinanza impugnata.

In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

 

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