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L'ultrapetizione: cos'è e quando si ritiene sussistente secondo la giurisprudenza più recente

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Inquadramento normativo: Art. 112 c.p.c.

Vizio di ultrapetizione: Il giudice deve decidere nei limiti delle domande ed eccezioni formulate dalle parti, salvo che non vi siano eccezioni rilevabili d'ufficio. In buona sostanza, il magistrato deve pronunciare nel rispetto del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. La violazione di detto principio rende la sentenza affetta da vizio di ultrapetizione.

Insussistenza del vizio di ultrapetizione (casistica): Non è ravvisabile la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, «quando il giudice, senza alterare nessuno degli elementi obiettivi di identificazione dell'azione (petitum e causa petendi), proceda alla qualificazione giuridica dei fatti posti a base della domanda o delle eccezioni e individui le norme di diritto applicabili, anche in difformità rispetto alla qualificazione della fattispecie operata dalle parti». In pratica, non sussiste vizio di ultrapetizione se la diversa qualificazione giuridica non comporta la sostituzione della domanda originaria con una diversa, fondata su fatti costituivi diversi da quelli posti alla base della prima. Il giudice, infatti, ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente l'azione, di attribuire il "nomen iuris" al rapporto dedotto in giudizio e di individuare le norme di diritto conseguentemente applicabili, senza mutare i fatti costitutivi alla base delle domande originarie (Cass. n. 15925/2007; Cass. n. 23215/2010; Cass. n. 13945/2012, richiamate da Cass. civ., n. 5153/2019).

È stato, inoltre, ritenuto che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che:

  • nella causa di risarcimento del danno da fatto illecito ascritto alla P.A, riconosce, anche in grado di appello, gli interessi compensativi e la svalutazione monetaria, sebbene non richiesti.  

    Questo perché nella domanda di tale tipo di risarcimento è implicitamente inclusa la richiesta di riconoscimento sia degli interessi compensativi sia del danno da svalutazione monetaria - quali componenti indispensabili del risarcimento, tra loro concorrenti per diversità delle rispettive funzioni (Cass., n. 18243/2015, n. 12140/2016, n. 4028/2017, richiamate da Cass. civ., n. 6574/2018);

  • in grado d'appello, ripartisce il danno non patrimoniale tra le varie voci in modo difforme rispetto alla sentenza di primo grado. E ciò in virtù del «principio di omnicomprensività della liquidazione dei danno non patrimoniale alla persona che comporta la valutazione complessiva dei pregiudizi subiti, con la conseguenza che il giudice d'appello, sollecitato a rivalutare l'adeguatezza della somma globalmente riconosciuta, per l'assunta insufficienza della liquidazione di un determinato tipo di giudizio, può riconsiderare anche le ulteriori voci di cui il danno non patrimoniale si compone, in funzione della verifica della congruità della liquidazione complessiva operata dal giudice di primo grado, senza che il riequilibrio tra le varie voci di cui si compone il danno non patrimoniale implichi una "reformatio in pejus" della sentenza o un vizio di ultrapetizione» (Cass, n. 4078/2014, richiamata da Cass. civ., n. 28492/2017).

Sussistenza del vizio di ultrapetizione (casistica): È stato, invece, ritenuto sussistente il vizio di ultrapetizione quando:

  • il giudice d'appello, andando oltre alle richieste ed eccezioni delle parti, attribuisce a queste un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, esorbitando dalle domande contenute nell'atto di impugnazione e introducendo nuovi elementi di fatto nell'ambito delle questioni sottoposte al proprio esame (Cass., n. 296/2016; n. 16213/2015, richiamate da Cass. civ., n. 18830/2017);
  • il giudice si pronuncia su una domanda oggetto di rinunzia (Cass., n. 21506/2010, richiamata da Cass. civ., n. 2060/2019);
  • il convenuto ha proposto la domanda riconvenzionale subordinandola all'accoglimento di quella principale e il giudice, respinta quest'ultima domanda, pronuncia anche sulla riconvenzionale, rigettandola (Cass. civ., n. 33361/2018);
  • una sentenza di condanna al risarcimento del danno è impugnata dal soccombente soltanto nella parte in cui se ne afferma sussistere la responsabilità e il giudice del gravame, senza modificare le statuizioni sulla responsabilità, modifica la quantificazione del danno ( Cass. nn. 18160/2012, 9175/1998, 2474/1989, richiamate da Cass. civ., n. 25933/2018);
  • l'attore ha formulato una domanda di condanna specifica, successivamente limitandola solo all'accertamento del danno e il giudice pronuncia una condanna generica, rimettendone la liquidazione ad un separato giudizio, senza il consenso del convenuto (cfr. Cass. nn. 5997 /2007 e 4487/2000, richiamate da Cass. civ., n. 28514/2017);
  • la domanda originaria del lavoratore è diretta a ottenere il riconoscimento di una qualifica professionale superiore e, nell'ambito del medesimo genere di mansioni, il giudice del lavoro riconosce al dipendente il diritto all'inquadramento in una qualifica intermedia. L'insussistenza del vizio di ultrapetizione, in tali casi, discende dal fatto che la qualifica intermedia, pur essendo inferiore a quella oggetto della domanda del lavoratore, è superiore a quella riconosciuta a quest'ultimo dal datore di lavoro (Cass., n. 8862/2013, richiamata da Tribunale Rieti Sez. lavoro, sentenza del 24 gennaio 2019).  

 

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