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Scuola, reiterazione contratti a termine: quando non è possibile la costituzione di rapporti a tempo indeterminato?

Scuola, reiterazione contratti a termine: quando non è possibile la costituzione di rapporti a tempo indeterminato?

Nel caso di reiterazione di contratti a termine per il personale comparto scuola, ove l'assunzione sia avvenuta in violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione di lavoratori, essa non potrà mai comportare la costituzione di rapporti a tempo indeterminato.

Questo è quanto ha ribadito la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 22458 del 6 agosto 2021.

Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici di legittimità.

I fatti di causa

I ricorrenti sono stati assunti con contratti a termine negli asili nido e nelle scuole comunali dell'infanzia per i profili per i quali è richiesto il requisito della scuola dell'obbligo. Essi sono stati selezionati sulla base delle graduatorie elaborate dal Centro per l'Impiego, senza alcuna procedura concorsuale ai fini della costituzione del rapporto. È accaduto che detti contratti sono stati reiterati, senza che gli stessi fossero trasformati in contratti a tempo indeterminato. Il caso è giunto dinanzi all'autorità giudiziaria. In primo grado, l'azione dei ricorrenti è stata accolta; dinanzi alla Corte d'appello, è stata respinta. I Giudici di secondo grado, in buona sostanza, hanno dichiarato l'illegittimità dei contratti a termine stipulati in successione con il Comune e hanno condannato quest'ultimo ente a corrispondere a ciascun appellante, a titolo di risarcimento del danno, l'indennità onnicomprensiva prevista dall'art. 28 del d.lgs. n. 81/2015, quantificata in quattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. E ciò in considerazione del fatto che, ad avviso della Corte d'appello, i contratti a termine sono stati stipulati in assenza di esigenze temporanee ed eccezionali e l'esclusione della conversione del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato trova giustificazione nel divieto di cui all'art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001, applicabile a prescindere dalla necessità o meno di procedura concorsuale per l'accesso all'impiego. 

Nei casi in cui è impossibile la conversione, secondo i giudici di secondo grado e in forza della giurisprudenza della Corte di cassazione e della Corte e della Corte di Giustizia, potrà essere assicurato solo risarcimento del danno, liquidato, salva la prova di pregiudizi ulteriori, sulla base del criterio fissato dall'art. 32 della legge n. 183/2010, poi sostituito dall'art. 28 del d.lgs. n. 81/2015.

La questione è giunta al vaglio dei Giudici di legittimità.

Ripercorriamo l'iter logico-giuridico seguito dalla Corte di cassazione.

La decisione della SC

Innanzitutto occorre ribadire che nel caso in esame sono stati stipulati contratti a termine in assenza di esigenze temporanee ed eccezionali e quindi in violazione delle disposizioni imperative riguardanti l'assunzione dei lavoratori nel pubblico impiego. In punto, è pacifico il principio secondo cui ai sensi dell'art. 36 d.lgs. n. 165/2001 (in tutte le versioni succedutesi nel tempo), nell'impiego pubblico contrattualizzato la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione di lavoratori non può mai comportare la costituzione di rapporti a tempo indeterminato. Questo orientamento trova conferma nei principi sanciti dalla più recente giurisprudenza del Giudice delle leggi (Corte Cost. n. 248/2018) e della Corte di Lussemburgo ( Corte di Giustizia 7.3.2018 in causa C-494/16), che, da un lato, ha ribadito l'impossibilità per tutto il settore pubblico di conversione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato, dall'altro ha riaffermato che la clausola 5 dell'Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE (relativa alle misure dirette a prevenire l'abuso di reiterazione dei contratti a termine, n.d.r.) non osta a una normativa nazionale che vieta la trasformazione del rapporto, purché sia prevista altra misura adeguata ed effettiva, finalizzata ad evitare e se del caso a sanzionare il ricorso abusivo alla reiterazione del contratto a termine, quale ad esempio il risarcimento danni. 

In buona sostanza, «nel pubblico impiego privatizzato, anche per i rapporti di lavoro a termine posti in essere dalle pubbliche amministrazioni mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento per le qualifiche e i profili per i quali è richiesto il requisito della scuola dell'obbligo, ai sensi dell'art. 35, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 165 del 2001, trova applicazione l'art. 36, comma 5, dello stesso decreto e dunque, in caso di abusiva reiterazione, il divieto di trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato […] (Cass. n. 11537/2020 e Cass. n. 25223/2020). Si ha abusiva reiterazione, ad esempio, quando l'immissione stabile nei ruoli prescinde dall'effettivo fabbisogno del personale e dalla previa programmazione delle assunzioni, indispensabili per garantire efficienza ed economicità della gestione dell'ente pubblico. In tali casi, se si procedesse alla predetta trasformazione, pur in mancanza di fabbisogno del personale e della relativa programmazione, verrebbero violati i principi di buon andamento, imparzialità ed efficienza dell'amministrazione. Tuttavia, occorre precisare che ove non è possibile la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, può essere riconosciuto al lavoratore un risarcimento danni. Orbene, tornando al caso di specie, secondo la Corte di cassazione, l'iter seguito dai giudici d'appello è stato corretto. Pertanto, bene ha agito la Corte territoriale, rigettando la domanda di conversione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato e condannando il Comune al pagamento dell'indennità onnicomprensiva prevista dall'art. 28 del d.lgs. n. 81/2015, quantificata in quattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. Ad avviso dei Giudici di legittimità, nella fattispecie, va escluso il risarcimento dell'ulteriore danno derivante dalla mancata percezione della retribuzione relativa agli intervalli non lavorati in quanto i singoli contratti a termine vanno considerati come contratti autonomi tra loro (Cass. n. 6097/2020; Cass. n. 3197/2019),

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

 

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