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E.mail fa prova piena dell´esistenza di un incarico, anche professionale, pur se priva di firma

Una ordinanza, la n. 11606, depositata il 14 maggio 2018, dalla sesta sezione civile della Suprema Corte di cassazione per enunciare un principio di grande importanza, quello che l´esistenza di un contratto di fornitura di beni o.di servizi, compresi quelli, professionali, può risultare, oltre che da una scrittura privata inter partes, anche dallo scambio di una corrispondenza email che dimostri il conferimento di un incarico mediante il consueto schema proposta accettazione, sempre che naturalmente, la corrispondenza in questione non sia apertamente disconosciuta, nelle forme consuete previste dal codice di rito, dalla parte interessata, e pertanto debba ritenersi implicitamente ammessa. Ed attenzione, non necessariamente una pec, ma anche una normalissima email priva pertanto di qualsiasi firma.

L´ordinanza della Suprema Corte di Cassazione odiernamente in commento, che rappresenta un unicum nel panorama giurisprudenziale quantomeno di legittimità è stata depositata al termine di un giudizio che ha visto il rigetto del ricorso per cassazione contro una sentenza del 2016 della Corte d´Appello di Milano che era stata impugnata da una società per tre motivi (violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione; violazione dell´art. 2697 c.c.; violazione e falsa applicazione, nonché vizio di motivazione, in relazione agli artt. 91 e 92 c.p.c.).

La sentenza impugnata aveva rigettato l´appello formulato dalla stessa ricorrente avverso la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Milano, in esito ad un giudizio che aveva avuto inizio con un decreto ingiuntivointimato da una società alla società ricorrente in Cassazione per il pagamento di
strumentazioni di navi da diporto ordinate da quest´ultima. Il
Tribunale di Milano, preso atto dell´avvenuto pagamento in
corso di causa di parte della somma, aveva revocato il decreto
ingiuntivo e condannato la debitrice al pagamento
dell´importo residuo dovuto.

La Corte d´Appello di Milano, con la sentenza che, successivamente, è stata oggetto del ricorso davanti ai giudici di piazza Cavour, aveva ritenuto che il credito azionato, e quindi il rapporto commerciale intercorso fra le parti, fossero stati provati dallo scambio di mail intervenuto il 13 ottobre 2011 e il 24 novembre 2011 fra un financial controller della
creditrice e un socio della debitrice su un piano di rientro per i crediti scaduti, piano proposto e pertanto accettato.

La documentazione acquisita, ad avviso della Corte di Milano, rendeva superflue le ulteriori deduzioni istruttorie per prova testimoniale della debitrice opponente a decreto ingiuntivo.

Secondo la Corte di cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla sentenza della Corte territoriale dalla società che, in esito al giudizio, era stata condannata a pagare l´importo residuo, i termini della questione erano riassumibili nel seguente senso. La Corte d´Appello di Milano ha ritenuto che il contratto di fornitura intercorso fra le parti, ed il conseguente credito azionato in sede monitoria, fosse stato provato dallo scambio
di mail intervenuto il 13 ottobre 2011 e il 24 novembre 2011
tra i rappresentanti delle due società, mail non contestate
"quanto alla loro provenienza e testuale contenuto".

Ai sensi dell´art. 1, comma 1, lett. p), d.lgs. 7 marzo 2005, n.
82 (Codice dell´amministrazione digitale) - hanno a questo punto ha fermato i giudici di legittimità - la e-mail costituisce un "documento informatico", ovvero un "documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati
giuridicamente rilevanti".

"L´e-mail, pertanto, seppur priva di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche, ovvero fra le rappresentazioni meccaniche indicate, con elencazione non tassativa, dall´art. 2712 c.c., e dunque forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale viene prodotta non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime" (arg. già da Cass. Sez. 3, 24/11/2005, n. 24814). Pertanto, la Corte d´Appello di Milano, correttamente operando la ripartizione dell´onere della prova, aveva ritenuto dimostrata l´esistenza del rapporto contrattuale, nonché verificato l´importo del credito azionato col decreto ingiuntivo.
Da qui il rigetto del ricorso con la condanna del ricorrente alle spese processuali.

 

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