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Falso in bilancio, occorre il dolo, violazione "rilevante" non integra il reato.

Con una importante sentenza, la n. 21672, depositata il 16 maggio 2018 della quinta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, i giudici di Piazza Cavour hanno, al termine dell´esame di una complessa questione, precisato e ribadito la propria giurisprudenza intorno alla fattispecie di falso in bilancio, precisando, innanzitutto, che, ai fini di una puntuale e fondata contestazione del reato in questione non basta che la violazione di norme contabili sia stata rilevante, ma occorre necessariamente il dolo del soggetto agente. E che, inoltre, l´omissione di dati contabili imposti dalla legge, in grado, anche in linea potenziale, di incidere sulla consistenza del patrimonio dell´impresa può dare luogo a singoli reati istantanei di falso in bilancio, con ripercussioni sui termini prescrizione.

Con la sentenza in commento, i supremi giudici di legittimità hanno, riguardo il primo punto, che è senz´altro quello suscettibile di maggiore attenzione e di ricadute anche pratiche, accolto una delle censure proposte dal ricorrente, quella in ordine alla carenza di motivazione della
sentenza impugnata quanto all´elemento soggettivo
del reato, posto che il giudice censurato,
con il limitarsi ad affermare che la prova del dolo che aveva animato il soggetto agente doveva ricavarsi implicitamente dal rilevante importo del dato contabile taciuto, non si era conformato al principio di diritto, enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, "in tema di falso in bilancio, dove l´elemento soggettivo presenta una struttura complessa comprendendo il dolo
generico (avente ad oggetto la rappresentazione del mendacio), il dolo specifico (profitto ingiusto) ed il dolo intenzionale di inganno dei destinatari, il predetto elemento soggettivo non può ritenersi provato - in quanto "in re ipsa" - nella violazione di norme contabili sulla esposizione delle voci in bilancio, né può essere ravvisato nello scopo di far vivere artificiosamente la società".

Secondo la Suprema Corte di cassazione, invece, esso deve necessariamente essere desunto da inequivoci elementi che evidenzino, nel redattore del
bilancio, la consapevolezza del suo agire abnorme o irragionevole attraverso artifici contabili (Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, P.G. e altro in proc. Coatti e altri, Rv. 268673).

Con la stessa pronuncia, i supremi giudici di legittimità hanno anche ritenuto fondata l´ulteriore eccezione focalizzata sulla prova dell´esistenza di un danno
patrimoniale patito dalle parti civili eziologicamente connesso alla mancata ostensione delle
notizie societarie doverose e rilevanti.

Premesso che, come chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 22474 del 31/03/2016, tra i destinatari del bilancio suscettibili di ricevere un nocumento dalle condotte di falsificazione delle informazioni societarie essenziali e rilevanti previste e punite dall´art. 2621 cod. civ., figurano non solo i soci e il pubblico ma anche i creditori delle compagini imprenditoriali esercitate in forma collettiva, deve riconoscersi - hanno affermato i supremi giudici di legittimità - che nella sentenza impugnata non vi è traccia di alcuno specifico approfondimento in ordine alle ragioni per le quali si dovesse ritenere che il danno patrimoniale lamentato dalle parti civili derivasse dalla mancata ostensione in bilancio dei dati contabili relativi alle garanzie contrattualmente assunte o degli accantonamenti prudenzialmente effettuati dall´amministratore e non, invece, come ritenuto dal giudice civile nella sentenza allegata al ricorso, dall´inadempimento della garanzia per evizione.


 

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