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Responsabilità medica, la sentenza di assoluzione preclude il risarcimento del danno in sede civile

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Con la sentenza n. 5892 dello scorso 8 gennaio, la IV sezione penale della Corte di Cassazione, chiamata ad accertare un caso di colpa medica, ha annullato la sentenza di appello che, sebbene avesse assolto il sanitario, confermava le statuizioni civili disposte in primo grado, statuendo che nel caso di pronuncia si assoluzione, è inibito al giudice penale pronunciarsi sulle pretese civilistiche.

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un medico, imputato del reato di omicidio colposo per il decesso di una sua paziente: allo stesso venivano contestati profili di colpa per «imprudenza, imperizia e negligenza» per aver omesso di procedere ad accertamenti diagnostici più approfonditi, così determinando l'aumento del grado di malignità ed aggressività della neoplasia che affliggeva la paziente.

Per tali fatti il Tribunale di Modena lo condannava, sia penalmente che al risarcimento dei danni richiesti dalle parti civile costituite nel processo penale.

La Corte di Appello di Bologna, in riforma della sentenza di primo grado, assolveva l'imputato con la formula perché il fatto non costituisce reato: secondo il Collegio giudicante, infatti, l'omessa effettuazione di accertamenti diagnostici, suggeriti dalla specifica storia personale e familiare della paziente, ma non indicati in nessuna linea guida, evidenziava la sussistenza di un profilo di colpa di grado lieve, penalmente irrilevante. Tuttavia, nonostante la formula assolutoria piena, venivano confermate le statuizioni civili. 

 Il responsabile civile, ricorrendo in Cassazione, deduceva la violazione degli artt. 538 e 605 c.p.p. rilevando come la Corte di Appello – nell'accogliere l'impugnazione proposta dall'imputato avverso la condanna penale e le statuizioni civili – non avrebbe potuto assolverlo penalmente ma, al contempo, condannarlo al risarcimento dei danni: per giurisprudenza costituzionale e di legittimità, infatti, nel caso in cui il processo penale si concluda con una assoluzione, salvo i casi di cui all'art. 578 c.p.p., il giudicante non può statuire sulla domanda risarcitoria.

Gli Ermellini condividono le censure formulate.

In punto di diritto la Cassazione specifica che l'art. 574, comma 4, c.p.p. estende al capo civile gli effetti dell'impugnazione proposta dall'imputato nei confronti della decisione di condanna, con la conseguenza che la decisione nel giudizio di impugnazione sulla responsabilità penale si riflette automaticamente sulla decisione relativa alla responsabilità civile.

Ciò chiarito, corretta è la censura del ricorrente che rileva come l'assoluzione disposta nel giudizio di impugnazione con formula "perché il fatto non costituisce reato" inevitabilmente si sarebbe dovuta riflettere sulle statuizioni civili disposte in primo grado, annullandole: difatti, l'art. 538 c.p.p. pone la regola della subordinazione del potere del giudice penale di decidere sulle restituzioni e il risarcimento del danno solo in caso di pronuncia di sentenza di condanna, con la conseguenza che, nel  caso di pronuncia si assoluzione, è inibito al giudice penale pronunciarsi sulle pretese civilistiche. 

 Con specifico riferimento al caso di specie, prima di stabilire se le statuizioni civili disposte dal Tribunale e dalla Corte di Appello debbano trovare conferma, la Cassazione si interroga sulla correttezza della sentenza impugnata nella parte in cui ha assolto il sanitario con la formula perché il fatto non costituisce reato.

Sul punto, gli Ermellini specificano che, in relazione alla responsabilità penale colposa in ambito sanitario, la legge Balduzzi esclude la rilevanza penale della colpa lieve, rispetto a quelle condotte lesive che abbiano osservato linee guida o pratiche terapeutiche mediche virtuose, purché esse siano accreditate dalla comunità scientifica: si è così assistito ad una "abolitio criminis" parziale degli artt. 589 e 590 c.p.., giacché oggi vengono penalmente in rilievo unicamente le condotte qualificate da colpa grave.

Nel caso di giudizio, all'imputato sono stati contestati profili di colpa per «imprudenza, imperizia e negligenza»: la Corte di Appello ha, tuttavia, ritenuto che siffatta colpa fosse di grado lieve e, in quanto tale, penalmente irrilevante, non essendoci alcuna linea guida che imponesse ulteriori approfondimenti.

Conseguentemente, in ragione del lieve grado di colpa accertato in giudizio, il Collegio di secondo grado ha reputato – correttamente, secondo la Cassazione– che la condotta dell'imputato rientrasse nell'ambito applicativo dell'esonero di responsabilità sancito dall'art. 3 della legge Balduzzi nei casi di colpa lieve.

Ne deriva che, se correttamente si è proceduto all'assoluzione dell'imputato, erroneamente sono state confermate le statuizioni civili al di fuori dei casi consentiti dalla legge processuale penale: di contro, di fronte ad una pronuncia assolutoria nel merito, siffatte statuizioni si sarebbero dovute necessariamente revocare.

In conclusione la Cassazione accoglie il ricorso e annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla conferma delle statuizioni civili.

 

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