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Per il mobbing del primario risponde l’azienda sanitaria.

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E' quanto dichiarato dalla Suprema Corte di Cassazione il 24 giugno scorso con l'ordinanza n. 20384/2022.

Il fatto.

Il primario di un ospedale, dovendo individuare il proprio sostituto, sceglieva, tra i due potenziali candidati, quello più giovane, ma meno esperto e professionalmente qualificato dell'altro, che rivestiva, invece, la qualifica di dirigente medico responsabile della sezione di urologia dell'azienda ospedaliera.

La condotta del primario, lungi dall'essere l'unica forma di discriminazione operata nei confronti del dirigente medico, si inseriva in un contesto di concreta emarginazione inteso a dare del predetto l'immagine di un incapace persino nei confronti dei propri familiari.

Il candidato pretermesso ricorreva al giudice del lavoro, chiedendo la condanna dell'azienda datrice al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, patiti in relazione al comportamento manifestamente discriminatorio posto in essere dal primario della struttura.

Il ricorso veniva accolto sia in primo che in secondo grado, ma il giudice dell'appello, pur confermando la condanna dell'Azienda al risarcimento del danno da inabilità assoluta e parziale, escludeva la condanna al risarcimento del danno patrimoniale da mancata qualificazione e determinava in riduzione il danno non patrimoniale.

Secondo la Corte territoriale, una volta accertato il carattere discriminatorio e del tutto irrazionale della condotta del primario, andava dichiarata la responsabilità dell'azienda datrice, a motivo della conoscenza di tale condizione quanto meno anomala ed alla mancata verifica delle ragioni della scelta.

La quantificazione del danno operata dal giudice di prime cure era, però, suscettibile di una determinazione in riduzione, tenuto conto delle tabelle d'uso e della unitarietà del danno non patrimoniale.

Contro tale decisione ricorrevano in Cassazione sia il lavoratore ricorrente, in via principale, che l'azienda resistente, in via incidentale.

Il ricorrente principale denunciava il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (imputando alla Corte territoriale la mancata considerazione di quanto allegato e provato in ordine al danno patrimoniale subito ed al danno alla professionalità conseguente alla mancata qualificazione) e la nullità della sentenza con riferimento al vizio di motivazione che, a suo dire, avrebbe inficiato la statuizione relativa alla quantificazione del danno non patrimoniale.

L'Azienda USL, ricorrente incidentale, a sua volta, denunciava il vizio di motivazione, imputando alla Corte territoriale l'incongruità dell'iter logico-giuridico in base al quale la Corte medesima era pervenuta all'accertamento del carattere discriminatorio dei comportamenti dedotti in atti; la violazione e falsa applicazione degli artt. 2049, 2087, 2697, 2727 c.c. 18, comma 3, CCNL 8.6.2000, 115 e 116 c.p.c., per aver la Corte territoriale espresso un convincimento incongruo circa la riconducibilità dei comportamenti lamentati dal lavoratore ad una ipotesi di mobbing; il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per aver il giudice del secondo grado erroneamente maturato il proprio convincimento in ordine all'inerzia colpevole dell'Azienda medesima; la violazione e falsa applicazione degli artt. 2087, 2697, 2727, 1223, 1226, 2043 e 2059 c.c., prospettata con riguardo all'asserita erroneità della statuizione di condanna al risarcimento del danno riguardata come mera conseguenza dell'iter valutativo censurato con i motivi che già erano stati illustrati; la nullità della sentenza ex art. 159 e 195 c.p.c., per aver la Corte territoriale posto a fondamento della statuizione circa la sussistenza del nesso causale e l'entità del pregiudizio fisico, le conclusioni della CTU non fatte oggetto di contraddittorio, in violazione del diritto di difesa.

La decisione della Corte di Cassazione.

La corte di legittimità, muovendo dall'esame del ricorso incidentale, ha rilevato l'inammissibilità del primo e del quinto motivo e dichiarato infondati i motivi dal secondo al quarto.

Secondo il supremo consesso, a muovere dalla mancata scelta del ricorrente come sostituto da parte del primario, ogni comportamento da questi tenuto nei confronti del medesimo si era inscritto in un contesto di concreta emarginazione inteso a dare del predetto l'immagine di un incapace persino nei confronti dei propri familiari e, conseguentemente, corretta era stata l'interpretazione data ai fatti dalla Corte territoriale nel ricondurre la fattispecie concreta al mobbing.

Dal mancato intervento compositivo di tale situazione e dall'inerzia colpevole rispetto a comportamenti sicuramente lesivi delle prerogative personali e professionali del medico ricorrente, di cui sicuramente l'azienda poteva riconoscere il carattere illecito e la conseguente risarcibilità, poteva poi legittimamente farsi discendere la responsabilità di quest'ultima, perciò il ragionamento della Corte Territoriale è da ritenersi corretto anche sotto tale aspetto.

Quanto al ricorso principale del dirigente medico, ritenuta l'inammissibilità del primo motivo, quanto al secondo, ne ha dichiarato l'infondatezza, alla stregua dell'orientamento già accolto dalla stessa Corte, secondo cui il carattere unitario della liquidazione preclude la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona che costituirebbero vere e proprie duplicazioni risarcitorie, fermo restando, però l'obbligo del giudice di tenere conto di tutte le peculiari modalità dell'atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, tramite l'incremento della somma dovuta a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione.

Sulla base di tale principio, la Suprema Corte ha ritenuto corretta la valutazione del giudice del secondo grado che aveva provveduto ad applicare le tabelle del Tribunale di Milano che includono nel punto base la componente soggettiva data dalla sofferenza morale conseguente alla lesione subita.

La corte ha conclusivamente rigettato tanto il ricorso principale quanto il ricorso incidentale.

 

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