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Ordine di demolizione opera abusiva, legittimo anche se emesso a distanza di anni dalla realizzazione dell'abuso

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Con sentenza n. 10019 del 16 ottobre 2018, il TAR Lazio, ha confermato il principio, già stabilito dal Consiglio di Stato, secondo cui, "il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo [...] non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino". E ciò in considerazione del fatto che tale tipo di provvedimento non è frutto del potere discrezionale della pubblica amministrazione, avendo natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto. Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'attenzione dei Giudici amministrativi. I ricorrenti hanno impugnato un'ordinanza di demolizione riguardante un villino di tre piani fuori terra e uno interrato, nel quale è stato rilevato al piano terra un complessivo incremento di superficie utile pari a mq. 38,00 e di volume pari a mc. 126,00, realizzato in assenza di titolo abilitativo, ossia in assenza di nulla osta paesistico e di permesso di costruire. Detto incremento di superficie risulta costituito da due distinti ampliamenti di mq. 16,90 e mq 21,40. Orbene, a dir dei ricorrenti, il primo ampliamento consisterebbe in una costruzione realizzata dalla locataria nel 2015, avente ad oggetto la chiusura del patio esistente nella parte posteriore del villino mediante pannellature in cartongesso; il secondo, invece, consisterebbe in un'opera realizzata dagli ascendenti dei ricorrenti nel 1968, oggetto di variante in corso d'opera formalmente comunicata al Comune. Tale variante, in buona sostanza, era diretta a utilizzare pienamente tutta la copertura potenzialmente assentibile all'epoca per il piano terra. È accaduto che il primo ampliamento è stato spontaneamente demolito ed è, pertanto, rimasto estraneo all'oggetto dell'impugnazione dei ricorrenti; impugnazione, questa, che ha avuto ad oggetto, pertanto, solo l'ampliamento realizzato nel 1968 al piano terra del villino in questione.  

 I ricorrenti nel giudizio posto all'attenzione del TAR, hanno lamentato, innanzitutto, la violazione del principio dell'affidamento in relazione anche all'omessa comunicazione di avvio del procedimento, attesa l'inerzia del Comune [...] per 47 anni in presenza di una variante progettuale ad esso comunicata dal dante causa dei ricorrenti. Tale questione:

  • costituisce il punto essenziale da approfondire nel caso giunto all'esame dei Giudici amministrativi, come riconosciuto dal Consiglio di Stato nell'ordinanza cautelare, con cui è stata sospesa l'efficacia dell'ordine di demolizione impugnato con il ricorso introduttivo (e alla quale ha fatto seguito l'ordinanza cautelare, con cui Il TAR ha accolto la domanda cautelare proposta con i motivi aggiunti di ricorso);
  • è stata rimessa all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con ordinanza.

Il Consiglio di Stato, in quest'occasione, ha affermato, con riferimento all'adozione tardiva dell'ordine di demolizione, che l'inerzia dell'amministrazione non è idonea a rendere legittima un'opera realizzata senza titolo abilitativo. E questo in considerazione del fatto che tra l'affidamento in capo ai ricorrenti proprietari dell'opera abusiva e le finalità di interesse pubblico perseguite dal Comune con l'esercizio dei suoi poteri, prevale tale ultimo interesse. D'altro canto, non potrebbe essere diversamente dal momento che l'ordine di demolizione non è un atto emanato nell'ambito dell'esercizio del potere discrezionale di cui è titolare la pubblica amministrazione, bensì è un atto di natura vincolata. 

Questo sta a significare che la pubblica amministrazione, difronte a questo tipo di atti:

  • deve limitarsi a verificare se sussistono tutti i presupposti e i requisiti richiesti dalla legge;
  • non è tenuta a fornire una motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso;
  • non può considerare rilevante l'epoca di realizzazione dell'abuso o il tempo trascorso tra tale epoca e la sua attività repressiva in relazione alla valutazione dell'attualità dell'interesse pubblico alla demolizione o all'affidamento ingenerato nel privato;
  • non è tenuta all'avviso di cui all'art. 7, legge n. 241/1990, secondo cui l'avvio del procedimento [...] è comunicato [...], ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi [...].

In punto, infatti, la giurisprudenza è costante nel ritenere che: "l'ordine di demolizione conseguente all'accertamento della natura abusiva delle opere edilizie, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto dovuto e, in quanto tale, non deve essere preceduto dall'avviso ex art. 7, legge n. 241/1990, trattandosi di una misura sanzionatoria per l'accertamento dell'inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge; pertanto, trattandosi di un atto volto a reprimere un abuso edilizio, esso sorge in virtù di un presupposto di fatto, ossia l'abuso, di cui il ricorrente deve essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo" (Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 giugno 2017, n. 2681; V, 28 aprile 2014, n. 2194). Sulla base di tali considerazioni e con riferimento alla questione della tardività dell'ordine di demolizione, i Giudici amministrativi, pertanto, hanno ritenuto infondate le doglianze dei ricorrenti. 

 

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